Ha notato Sandro Magister (“l’Espresso” n. 31) che papa Bergoglio è sempre generosamente disponibile – a scrivere, telefonare, accogliere – ma quando si imbatte in argomenti sensibili o scottanti, sorprendentemente tace. Ora, si parva licet, a me fa venire in mente Matteo Renzi. Proprio così. Prendiamo il pasticcio delle pensioni, vicenda che si può leggere con l’ottica della politica e dei diritti – come fa Francesco Boccia, Pd, che conduce a viso aperto la sua battaglia a tutela degli statali – o da quello dei numeri, come fanno Pier Carlo Padoan e Carlo Cottarelli a tutela (sacrosanta) dei conti pubblici. Ma la morale alla fine è la stessa.
Sapete come sono andate le cose. La Camera, per due volte e all’unanimità e con tanto di ok del governo, aveva cancellato una serie di vincoli imposti ai pensionandi dalla riforma Fornero, vincoli odiosi per chi li subisce ma costosi, se eliminati, per le casse dello Stato. Cottarelli, chiamato dal governo a fare spending review, se l’è presa a male: ma come, ha detto, io taglio e voi aumentate le spese? E ha annunciato le dimissioni dall’incarico. Sul momento il premier sembrava perfino contento, quasi non vedesse l’ora di liberarsi dello sforbiciatore. Pochi giorni dopo, invece, il colpo di scena: via le novità dalla legge, non se ne fa più niente.
Perché lo ha fatto? Non si sa, non è chiaro. Qualche Solone – per usare il linguaggio dell’appassionata intervista a Claudio Tito di “Repubblica” – ha scritto che Renzi ha capito l’allarme di Cottarelli e gli ha dato ragione. Dietrofront. Qualcun altro, invece, sostiene che ha cassato tutto solo perché incoerente con il decreto Madia sulla pubblica amministrazione che si avviava a diventare un omnibus, un canguro. Dunque se ne parla a settembre (alla faccia della velocità), con un provvedimento tutto dedicato alla scuola. E vabbè, ma che significa, che la riforma Fornero resterà così com’è o verrà smontata pezzo a pezzo? Ecco, questo Renzi non lo dice.
E onestamente non è l’unico argomento sul quale tace. Per esempio a oggi, metà agosto, non è dato sapere se in autunno sarà necessaria una manovra correttiva, e se non nel 2015? Il deficit è aumentato, il Pil no e secondo calcoli attendibili da qui al 2016 mancheranno all’appello più di 26 miliardi. Intanto il provvedimento per il rilancio dell’economia (decreto competitività), alla faccia della velocità, è tornato in commissione Bilancio della Camera per nuovi approfondimenti. Non sappiamo nemmeno se l’Unione ci concederà più tempo per abbattere il debito; e nemmeno che ne sarà degli investimenti in infrastrutture annunciati poi cassati poi annunciati di nuovo; se il sistema delle pensioni, esodati compresi, sarà quello firmato Fornero o no; se gli 80 euro, geniale tassello del pacchetto Renzi, ci saranno anche nel 2015; se l’anno prossimo sarà quello del “meno tasse per tutti”; se quel gran gufo del Cottarelli, o chi per lui, taglierà spesa pubblica e dove. Sono domande da rosicone, da Solone?
Per capirci. La Spagna non vanta fondamentali migliori dei nostri: altissima disoccupazione, anni di stagnazione economica, debito pubblico all’altezza. Eppure lì si segnala un’inversione di tendenza. Com’è stato possibile? Merito di misure incisive che hanno smosso l’economia, fatto ottenere alla Spagna una dilazione per abbattere il deficit e agevolato investimenti stranieri: tagliati i costi della pubblica amministrazione e gli ammortizzatori sociali; reso più flessibile il mercato del lavoro; riformate le pensioni; rafforzate le banche; e annunciato per il prossimo anno una significativa riduzione delle tasse. La strada è lunga, ma qualcosa si è mosso. E nessuno parla di andare a votare prima del termine…
Qui, invece, velocità e determinazione vengono riservate solo alle grandi riforme costituzionali, al rifacimento dell’architettura istituzionale, alla necessità di rafforzare i poteri di governo e a blindare la maggioranza. Bene, giusto, evviva rinnovamento e rottamazione: ma per fare cosa? Per poter finalmente approvare quali provvedimenti? Ah, saperlo! Allo stato in cui siamo, e a semestre europeo iniziato in sordina, verrebbe voglia di affidarsi a un paradosso, e augurarsi che nel famoso patto del Nazareno, altra araba fenice che riempie le cronache politiche senza che si sappia di cosa davvero si tratta, e in quello nuovo di Palazzo Chigi, oltre alle riforme e al futuro del Quirinale, ci fosse anche un impegno ad adottare due o tre misure capaci di trasformare l’emergenza economica in virtù. Sta’ a vedere che…
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