La Germania sembra aver adottato un proverbio cinese. Dove il pollo è la Grecia e le scimmie siamo noi. E non ci conviene stare a questo gioco
312 miliardi di euro, tanti sono i debiti della Grecia. In biglietti da 50, infilati uno dopo l’altro, questa somma coprirebbe più di due volte la distanza dalla Terra alla Luna. Rappresenta il 175 per cento del Prodotto Interno Lordo della Grecia. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, un livello insostenibile, che deve essere ridotto a spese dei creditori. Purtroppo tra i creditori ci siamo anche noi italiani, che abbiamo prestato soldi nel “salvataggio” della Grecia del 2010. Perché dovremmo noi - che quanto a debito non stiamo proprio bene - pagare il costo degli errori greci? Il premier Renzi ha sintetizzato in modo molto efficace questa tensione: l’Italia non può pagare le pensioni baby ai greci. E messa in questi termini è difficile dargli torto. Allora hanno ragione i tedeschi che si rifiutano di fare qualsiasi sconto alla Grecia?
Se pensiamo che quello che guadagnano i greci perdono gli altri cittadini europei, non ci sono ragioni economiche per una riduzione del debito e tanto meno ragioni politiche. Meglio fare della Grecia un esempio, come ai tempi degli antichi Romani, quando i debitori insolventi venivano venduti come schiavi.
Per fortuna non è così. Se in tutti i Paesi civili non solo la schiavitù ma anche la prigione per debiti è stata eliminata non è solo per motivi umanitari, ma anche per motivi economici. Quando un individuo accumula un debito impossibile da ripagare, anche con i suoi migliori sforzi, smette anche di provarci, tanto a perderci non è più lui, ma i suoi creditori. In questi casi una riduzione dell’ammontare del debito dovuto può portare ad un aumento dei pagamenti ricevuti dai creditori. Questo apparente paradosso è dovuto al fatto che, vedendo la prospettiva concreta di liberarsi dal debito, il debitore si impegnerà maggiormente. Grazie a questo maggiore sforzo, ci guadagnano sia il creditore sia il debitore.
È questa l’idea sottostante tutte le procedure di concordato preventivo, dove i debiti vengono ridotti in cambio di una ristrutturazione che aumenti la capacità di pagamento. Quello che vale per gli individui e per le imprese, vale anche per i Paesi. Ma se è così semplice perché i debiti della Grecia non sono stati ancora tagliati?
Innanzitutto c'è un problema di negoziazione. Ad un creditore conviene concedere un taglio del debito solo quando l’ammontare del debito è veramente insostenibile, mentre ad un debitore conviene sempre. Di qui la danza tra debitori che si fingono disperati e creditori che non ci credono. Nel caso della Grecia, però, questo problema sembra superato: anche il FMI ha decretato che il debito è eccessivo.
Il secondo problema è di credibilità. Il taglio del valore nominale del debito beneficia anche i creditori se il debitore si impegna maggiormente nel ripagare i debiti. Finora l’atteggiamento ideologico di Syriza non ha reso particolarmente credibile un compromesso in questo senso. Tagliare il debito per permettere di pagare le pensione baby sarebbe una perdita secca per i creditori.
Poi c'è il problema reputazionale. La prigione per debito era inumana, ma serviva di esempio. Un detto cinese recita “ammazzare il pollo per spaventare le scimmie”. In questo caso le scimmie siamo tutti noi, Paesi del Sud Europa. Alla Germania punire la Grecia serve di esempio, ma a noi? Rischiamo di stringerci il cappio intorno al collo.
Il problema maggiore è contabile/politico. Il credito da noi esteso nei confronti della Grecia è riportato nel bilancio statale a valore nominale: nonostante la scarsa probabilità che venga ripagato non sono state accumulate riserve, né si è ridotto il valore iscritto a bilancio. Pertanto un taglio del valore nominale del debito, porterebbe ad una perdita immediata, contabilmente non compensata da un aumento dei pagamenti futuri. Né Merkel, né Renzi vogliono dover giustificare una simile perdita di fronte all’elettorato. Paradossalmente preferiscono perdere soldi in modo invisibile, che guadagnarli dovendo riportare una perdita contabile. È qui dove si vede la differenza tra un politico e uno statista. In Europa abbiamo un disperato bisogno di statisti.