Seguire i percorsi attraverso cui reperiamo informazioni è operazione utilissima per capire come il nostro mondo sia cambiato. D’estate per molti aumenta il tempo da dedicare alla lettura che fino a qualche tempo fa era un giornale, una rivista, qualche libro. Ora ci troviamo sempre più a maneggiare tablet e smartphone e da lì prendiamo informazioni e cultura. Questo rende meno netta la divisione tra routine e vacanza, ma ci dice che ormai è diventato impossibile trovare una separazione tra sé e la notizia. Saltare anche solo per un giorno il giro obbligato tra social e siti di informazione ci fa sentire fuori dal mondo. Spesso questo genere di considerazioni porta con sé un giudizio negativo che riguarda soprattutto quella forma di addiction all’online che non consente di staccare mai, come se essere offline equivalesse a non essere. Quella che meno spesso viene esplorata è la ricaduta positiva che questo genere di attenzione ha sulla produzione di contenuti. Se fino a qualche tempo fa – pochissimo tempo fa – era relativamente difficile decidere di finanziare un’inchiesta perché serviva innanzitutto una piattaforma che decideva di finanziarla, ora tutto viene declinato su binari differenti. Il committente può non essere più una testata tradizionale o online, ma possono essere decine, centinaia o migliaia di persone che decidono di investire prima di tutto nella ricerca. Ricerca intesa in senso ampio, dall’informazione pura all’arte, dal no profit al cinema, dalla tecnologia alla musica. Si condividono le premesse di un progetto e si desidera vederne lo sviluppo. È questa la nuova frontiera anche del giornalismo d’inchiesta: il crowdfunding. Ovvero, la possibilità di contribuire affinché un progetto, un documentario o un reportage possano vedere la luce. E non è un singolo a decidere dell’utilità di quel prodotto, ma molte persone che sentendone la necessità decidono di finanziarlo.
Non più spettatori, ma attori in un panorama informativo in costante evoluzione nel quale siamo noi che abbiamo la possibilità di decidere quali informazioni vogliamo approfondire.
Ho un'idea di racconto, credo che un fatto meriti di essere narrato, magari raccogliendo le voci e le testimonianze di chi tra qualche tempo potrebbe non esserci più; o semplicemente ho l’impressione che la lettura artistica di quel fatto possa sublimarne la comprensione; a questo punto la situazione che potrebbe presentarsi è la mancanza di mezzi per poter realizzare il progetto. Eppure io voglio leggerla in modo diverso: metto la mia idea sul mercato, nel senso che chiedo a un numero indefinito di utenti di valutare il progetto ed eventualmente finanziarlo. Questo è il modo migliore per testare idee, ed apre anche nuove strade al giornalismo d’inchiesta: un giornalismo che abbia come fine primo la pubblica utilità. Non uno che commissiona, ma molti che sentono la necessità di essere informati su quel dato argomento. Non si tratta di avere mezzi o di non averne, ma di voler testare la propria idea attraverso una sorta di azionariato popolare; la partecipazione economica di tanti piccoli finanziatori, trovati nel web e disposti ad investire magari somme irrisorie ma essenziali nella realizzazione di un progetto che è virtuale ma che ci metterà poco a diventare reale.
“La natura delle cose” è il titolo di un film che uscirà tra qualche mese. La regista, Laura Viezzoli, ha proposto un percorso che parte dalla vita di Piergiorgio Welby e si sviluppa attraverso un concetto fondamentale, semplice, ma spesso ignorato: la libertà di scelta. Attraverso Eppela, una piattaforma di crowfunding, Viezzoli ha proposto una sorta di call to action: “Se credi al diritto individuale alla non sofferenza e alla libertà di scelta in situazioni di fine vita, se hai sentito parlare di Welby e stimi la sua battaglia, e se per di più ami la magia del Super8 e dei viaggi aerospaziali, ti offriamo la possibilità di entrare nel gruppo di coproduzione popolare del progetto Filmico “La Natura delle Cose” sostenendone la realizzazione con piccole donazioni a partire da 5 euro l’una”. La somma da raggiungere era di 15mila euro e 155 persone hanno risposto all’appello.
La semplice osservazione di questi casi conferma che la voglia di esprimersi e di farlo liberamente, la necessità di mostrare il proprio sguardo agli altri, per condividerne le sfumature, è un’attività umana sovrapponibile al respiro. E dimostra che tutto sommato il virtuale è materia antica, di cui sono intrisi i nostri sogni e i nostri ideali.