Per la prima volta l’inquilino di palazzo Chigi è in difficoltà. Dovrà per forza scontentare l’anima laica o quella cattolica del suo partito
Per la prima volta Matteo Renzi è in difficoltà. All’interno del suo partito, a causa del progetto di legge sulle unioni civili, si è aperta una falla imprevista e dalle conseguenze imprevedibili. Dopo il celebrato convegno di Todi nell’autunno del 2011 la questione cattolica era entrata in un cono d’ombra. L’irruzione del boy scout Matteo aveva calmato le acque e sedato gli animi della componente confessionale dentro e fuori il Pd. Poi, l’arrivo di papa Francesco, così distante dalle beghe italiane (un po’ meno da quelle romane, per la verità), ha tolto fiato ai vari teo-con. Gli orfani della eterna questione cattolica non erano però scomparsi. Si erano solo acquietati, fiduciosi in una leadership con una marcata tonalità cattolica. Eppure avrebbero dovuto tenere in conto alcuni elementi che contraddicevano l’ipotesi di un governo e di un Pd a caratura neo-confessionale. Il primo, e il più importante, rimonta alla presa di posizione di Matteo Renzi durante le elezioni presidenziali del 2013, quando impallinò la candidatura di Franco Marini.
In una lucidissima lettera argomentò la sua posizione con la distinzione tra fede e politica, identificandosi come un cattolico che non subordina le decisioni politiche alle convinzioni religiose. Il secondo elemento riguarda il rapporto con il Vaticano e le gerarchie cattoliche. Non solo Renzi ha evitato di precipitarsi a baciare l’anello ma ha tenuto le distanze anche da vescovi e prelati vari, e ha saltato il primo giro al meeting di Cl. Infine, ha servito ai post-democristiani il boccone indigesto dell’adesione del Pd al partito socialista europeo. Ultimo tassello, l’inclusione di Ivan Scalfarotto, esponente della componente Lgbt, nel governo. Ora che si affacciano i primi provvedimenti sensibili si assiste ad una sorta di rivolta dei “delusi” per la scarsa considerazione delle sensibilità cattoliche. Per Matteo Renzi è una amara sorpresa. Pensava di avere le spalle coperte su questo versante e invece la fronda cresce di intensità, trova sponde nelle gerarchie, e il family day si avvicina. Anche il Quirinale, pur muovendosi sul piano della correttezza costituzionale del disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili, mette degli altolà.
L'accerchiamento al governo non offre facili vie di uscita. E non è che l’inizio perché sono in arrivo altri temi delicati come il testamento biologico e il fine-vita, su cui certamente la Chiesa aprirà un fuoco di sbarramento ad alzo zero. Lasciar votare il parlamento senza il sigillo governativo come in altre occasioni simili - si pensi alla legge sul divorzio - rappresenta la soluzione più facile. Solo che Renzi “ha messo la faccia” su questo provvedimento presentandolo in varie occasioni come una norma necessaria e improrogabile. È difficile ora tirarsi indietro. Se lo facesse, darebbe l’impressione di cedere a pressioni interne ed esterne: una (inedita) ammissione di debolezza. Verrebbe incrinata la narrazione di una leadership che tira diritto senza guardare in faccia a nessuno.
Inoltre, affidarsi al parlamento comporta un altro rischio: che la legge sia approvata con il voto determinante del M5S. I grillini farebbero en plein: dimostrerebbero di essere più sensibili del Pd ai diritti civili e disposti a votare anche con “i nemici” pur di ottenere norme di interesse generale.
La leadership democratica è presa in una morsa. Qualunque scelta sarà costosa. Il passo indietro consente di salvaguardare i rapporti con il movimento cattolico ma approfondisce la frattura con l’anima laica del Pd e, soprattutto, proietta l’immagine di un leader piegato dalla levata degli scudi confessionale; la riconferma del ddl Cirinnà conferma il profilo decisionista di Renzi ma scontenta il mondo cattolico e offre un grande assist ai 5 Stelle. Un bel rebus.