È il mercato, bellezza. Giusto, vero, ben detto. E però, quando il mercato dispiega i suoi spiriti animali, o se la massima compagnia di telecomunicazioni del Paese finisce in mano francese, l’Italia dei record e delle eccellenze sparisce, si nasconde, cambia strada. Saremo pure un popolo di poeti, artisti, eroi e santi, ma di capitalisti votati alla grande impresa proprio no. Sì, è vero, nonostante corruzione, burocrazia, mafie siamo capaci di giocare in serie A, ma alla fine nelle grandi banche siedono spagnoli, tedeschi, francesi; Pirelli è cinese, Italcementi tedesca, e i marchi del lusso sono passati a suon di milioni in mani arabe. E ogni volta ti chiedi perché non si riesca mai a fare i cacciatori e non le prede.
Adesso Telecom sta per diventare francese al termine di una paziente campagna di conquista condotta con piglio napoleonico da Vincent Bolloré, finanziere di lunga lena, grande amico di Sarkozy, ma in ottimi rapporti con Hollande, già da tempo socio pesante di Mediobanca, l’antica cabina di regia della finanza made in Italy. Tutti contenti, fuochi d’artificio all’Eliseo, soddisfazione perfino a Palazzo Chigi che, si dice, avrebbe concordato l’esito di una vicenda che per vent’anni ha angustiato senza costrutto governi e banche. E che rivela alcune verità, confermando mali dai quali, ahimè, il Paese non riesce a guarire.
La prima verità è il clamoroso fallimento della privatizzazione avviata nel 1997, regnante Romano Prodi. Fallimento? Sì, lo dimostrano i fatti. Ai tempi di Roberto Colaninno, che la conquistò nel 1999, la Telecom valeva centomila miliardi delle vecchie lire, più o meno 50 miliardi di euro; quando nel 2001 diventò preda di Marco Tronchetti Provera, fu valutata 90 miliardi. Oggi alle quotazioni di Borsa ne capitalizza 13, e nei suoi bilanci c’è pure Tim che allora ballava da sola. Pensate, Telecom ha bruciato più o meno i sette decimi del suo valore; nello stesso tempo France Telecom, oggi Orange, o Telefonica, spagnola, hanno visto crescere il loro peso di dieci volte.
Eppure altre privatizzazioni hanno funzionato (Eni, Enel): perché? Forse lì la cultura aziendale è stata più forte dei condizionamenti politici; forse, più semplicemente, di Telecom non sono state comprese né le potenzialità né l’importanza strategica. Prova ne siano gli ostacoli politici frapposti in passato a ogni tentativo di crescere e innovarsi (il progetto Socrate per la fibra ottica, l’acquisizione di Vodafone, l’alleanza con Deutsche Telekom) e il balletto di premier e di manager alternatisi sulla plancia di comando.
La seconda verità è stato il fuggi fuggi dei capitalisti senza capitale che non si sono fatti avanti nemmeno quando comprare era un affare, tanto meno per difendere l’italianità di una grande azienda, o lo hanno fatto solo con i denari delle banche. Non c’erano all’inizio, quando Prodi e D’Alema sognavano un “nocciolino duro” di azionisti italiani; non ci saranno dopo, forse terrorizzati dai debiti accesi da Colaninno prima e da Tronchetti Provera poi per scalare Telecom e Tim. Risultato, dopo vent’anni la compagnia è rimasta piccola e locale e lontana dal nuovo mercato della trasmissione di dati, informazioni e immagini nel quale i big delle tlc cercano di acquisire media e tv (Telefonica controlla Canal Plus, British Telecom sogna Sky e negli Usa il vero concorrente di At&T o di Verizon è Time Warner, cinema, tv, giornali, Internet). Adesso ci penserà Bolloré entrando in forze nella Mediaset di Silvio Berlusconi e famiglia.
La terza verità è il trionfo del paradosso. Per vent’anni, dinanzi all’evidente fallimento della privatizzazione, è stata smorzata sul nascere ogni velleità di riportare un po’ di Stato nelle tlc. Prodi rischiò qualche anno fa la crisi del suo governo solo perché voleva che la rete fosse pubblica; sul tavolo di Renzi è stato fermo per mesi un progetto per trasferirla a Cassa depositi e prestiti, salvo scoprire che questa non ha i soldi per farlo. Ma adesso è probabile che la fase due dell’operazione Bolloré, in un mercato che vuole sempre meno grandi operatori, sia un’integrazione con la francese Orange, a controllo pubblico. Se così sarà, Hollande potrà finalmente contare sul campione nazionale che sogna e che gli consentirebbe di affrontare con maggiore forza l’eventuale trattativa per una fusione con i tedeschi della Deutsche Telekom. Di conseguenza, la Telecom ex italiana tornerà pubblica, ma in quanto francese; anche la rete di trasmissione, rimasta pubblica in Francia e in Germania, tornerà nelle mani dello Stato. Francese. Allons enfants.
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