Per fermare i profughi in fuga dalle guerre si prendono decisioni veloci. Mentre le misure contro l’elusione fiscale possono sempre attendere
I Panama Papers sono il frutto di un complotto della Cia ai danni della Russia, ha azzardato Putin nel rozzo tentativo di arginare l’effetto delle rivelazioni. Due miliardi di dollari nascosti all’estero dai suoi amici. La Cia ovviamente non ha nulla a che fare con la divulgazione dell’archivio segreto dello studio Mossack Fonseca, ma all’oligarca di Mosca fa buon gioco compattare la flebile opinione pubblica russa contro il supposto nemico alle porte. La democratura post-sovietica fonda il suo potere sulla forza, la propaganda. E sulla capacità persuasiva dei soldi.
Se davvero la Cia avesse ordito un complotto, tuttavia, non è Putin quello che rischia di essere disarcionato. Ma il più fedele alleato degli “amerikani”, cioè il primo ministro del Regno Unito. I complottisti di ogni latitudine stanno infatti assistendo alla più fantasiosa manifestazione di una trama surreale: voglio colpire il mio nemico, abbatto invece il mio amico. David Cameron sta attraversando infatti il peggior momento politico da sei anni a questa parte. Ha impiegato quattro giorni per raccontare la verità sui conti offshore del defunto genitore. Lo stesso tempo, sia detto per inciso, necessario all’italianissimo Luca di Montezemolo per ritrovare la memoria e ricordarsi della sua società all’estero, di cui abbiamo scritto e mostrato i documenti su “l’Espresso”.
Torniamo in Inghilterra, però, agli affari di Cameron. Questi ha investito 30 mila sterline nel fondo del padre e inoltre ha ereditato mezzo milione dai genitori, in due distinti momenti, eludendo 70 mila sterline al fisco britannico. Operazioni rimaste riservate fino alla pubblicazione dei Panama Papers. L’opinione pubblica britannica mal sopporta chi, beccato con le mani nella marmellata, nega l’evidenza. Questa vicenda di tasse, amnesie e goffe risposte finirà per pesare sulla Brexit, cioè sul referendum per la permanenza della Gran Bretagna nell’Unione europea. Cameron è contrario all’uscita. Ma se dovesse essere sconfitto dal voto, lui perderebbe la poltrona, l’Europa ancor di più la bussola. Con ripercussioni inimmaginabili per gli assetti del continente.
Già ora nella Ue la concorrenza fiscale tra gli Stati membri crea scompensi tra chi pratica aliquote vantaggiose (è il caso del Lussemburgo del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker e della stessa Londra) e chi non riesce ad abbassare le tasse. I comuni cittadini, il cui welfare ha subito tagli dolorosi negli anni della crisi, restano in balìa di interessi privati, a causa della frammentazione politica dell’Europa e dell’assenza di poteri pubblici forti, come ha scritto su “Repubblica” Thomas Piketty, l’economista francese schierato contro le nuove diseguaglianze sociali. Il fenomeno dei capitali nascosti è globale, e i Panama Papers lo hanno evidenziato in maniera urticante. La quantità di soldi che i ricchi hanno occultato al fisco e quindi sottratto ai ceti più poveri appare impressionante. Leggete le cifre tratte dalla ricerca dell’economista Gabriel Zucman: si calcola in 7.600 miliardi di dollari la quantità di denaro trasferito in società offshore, una cifra da capogiro. I ricchi sempre più ricchi; i poveri ancor più poveri. In mezzo un ceto medio proletarizzato. Sembra quasi una lotta di classe combattuta all’incontrario. Chi sta sopra contro chi sta sotto. È il tradimento storico delle élite. Anziché su un nuovo ordine mondiale, si concentrano sul proprio “particulare”.
Ipotesi di contrasto all’elusione fiscale sono allo studio delle istituzioni europee, con una lentezza tuttavia che cozza con la velocità di decisioni in altri campi. Come quando si alza dalla sera alla mattina un muro di filo spinato alla frontiera per bloccare la fuga dei migranti. È più facile rispondere in modo muscolare ad una emergenza nella sua spettacolare drammaticità che affrontare le opacità del sistema finanziario internazionale. Purtroppo il vento soffia forte in direzione della dissoluzione dell’idea stessa d’Europa. Mentre è di più Europa che avremmo bisogno. Non il contrario. Nessuno però ha una leadership forte e autorevole per cambiare verso agli eventi in corso.
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