La “rivoluzione conservatrice” non c’è stata. E anche  la sinistra non è stata all’altezza del suo compito storico

Mentre i nostri Grandi si incontrano tra Europa e lo spettro delle Nazioni Unite per cercare di affrontare il disordine globale (o almeno evitare di farsi la guerra mentre combattono un nemico comune, come tragicamente avviene in tutto il Medio Oriente), forse non è superfluo collocare anche le tristi vicende patrie nell’onda lunga della storia dell’ultimo quarto di secolo. Storia che da noi si conclude certamente anche con i raggiunti limiti di età di Berlusconi, suo indiscutibile protagonista. È la storia, come non sarebbe mai troppo tardi riconoscere, del fallimento di una generazione politica e di un’intera classe dirigente. E non fa alcuna differenza tra chi ha predicato cose magari giuste, ma invano, e chi ad esse si è tenacemente opposto. Tra l’impotenza, ?da un lato, e l’incapacità progettuale e strategica, dall’altro, mascherata magari di retorica patriottica, quando non di demagogia reazionaria nazionalistica, in politica non fa alcuna differenza. Spiace per le anime belle, ma il fare politico non si giudica in base alle idee, ma ai loro effetti pratici e alla loro realizzazione.

Dopo la caduta del Muro e la fine della guerra fredda si imponeva una radicale discontinuità. Occorreva una “rivoluzione” culturale sia per le destre che per le sinistre del Novecento. Una “rivoluzione conservatrice” era necessaria, ma questa non poteva certo ripetere la strategia dei Reagan e delle Thatcher. Questi leader avevano forse male compreso le trasformazioni sociali e culturali in atto nell’Occidente, ma certo benissimo la crisi dei modelli di Welfare e la debolezza degli avversari. Tuttavia, essi si muovevano ancora sostanzialmente nell’ambito degli equilibri di potenza usciti dalla Seconda guerra mondiale. Sono stati protagonisti della spallata estrema contro il Nemico. Ultimo atto del grande, tragico “secolo breve”. L’Evo nuovo comincia dopo di loro. Per Berlusconi invece non comincia affatto. La sua ideologia è tutta fuori tempo massimo; divide il Paese su questioni e paure inesistenti (se non la sua, realissima, legata alla sorte delle proprie imprese); forma, o cerca di formare, una coalizione che sarà tutto fuorché di governo e in cui trionfa l’eterno male del parlamentarismo italiano: il trasformismo. Soltanto oggi, e ancora con qualche incertezza, sembra finalmente che il centro-destra sia giunto a riconoscere che coalizioni di tal fatta non solo non possono produrre alcuna riforma, ma neppure bastano alla sopravvivenza politica dei propri membri. Nel frattempo però si è forse definitivamente esaurita la speranza di una efficace, razionale destra europea, cioè la possibilità, appunto, di una “rivoluzione conservatrice”.

All’impotenza e al fallimento dell’esperimento berlusconiano, risponde “a sinistra” uno squillo perfettamente simmetrico e complementare. Mentre si disfano le vecchie forme politiche (quanti “rex destruens” in giro!), le “migliori” energie vengono spese per rintracciare leader e carismi da contrapporre a Berlusconi, accettando di fatto di giocare con lui, sul suo terreno, la più farsesca riedizione della dialettica amico-nemico.

?E alla sua non-coalizione contrapporne altre, di uguale natura, formate, di volta in volta con diverse dosi, da nostalgici dell’età dell’oro socialdemocratica, ultra-conservatori, laici e cattolici, in materia istituzionale, sedicenti comunisti in salsa ecologista e ambientalista (e cioè, sia detto per inciso, lontani dal marxismo molto più di Berlusconi!), giustizialisti vari. Affratellati tutti da patologica timidezza nel porre mano ai problemi reali di un nuovo rapporto Parlamento-Governo, del riassetto radicale dei catafalchi centralistici rappresentati dalle Regioni, del ruolo e dell’autonomia dell’Ente locale, dello smantellamento delle roccaforti burocratico-ministeriali, della riforma della Pubblica Amministrazione e della scuola. Su questo chiacchiere e pannicelli caldi, che si alternavano, aumentando il tasso di confusione, tra quelli firmati centro-destra e quelli firmati centro-sinistra.

Di Berlusconi non rimane nulla; dei suoi avversari che cosa? L’Europa, si dice. Cioè, l’euro. È vero - come è vero che il dramma oggi è che sempre meno cittadini europei sono disposti a riconoscerlo come un merito. Che si è fatto perché l’Europa diventasse una realtà politica? Si tratta soltanto di strategie economiche di sviluppo o di allentamento di qualche vincolo? Che senza un New Deal non si possano affrontare crisi come quelle del 2007-2008 è assolutamente certo. Ma neppure possono darsi New Deal senza Stati Uniti d’America (sottolineo: Uniti), senza riconoscersi in un comune destino. È l’idea di questo destino che avrebbe dovuto rappresentare il vero terreno di scontro e competizione tra “rivoluzione conservatrice” e “rivoluzione socialdemocratica”. Troppo tardi? Siamo costretti ad augurare anche a lei un felice tramonto come al Cavaliere per i suoi ottant’anni?

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