Guardando la luna e non il dito, viene da chiedersi se Beppe Grillo ci è o ci fa. Che senso ha questo gioco di alleanze che si fanno e si rompono, fra blitz, smentite, transfughi e figuracce. Prima antieuro, poi alleati con i liberali europeisti, poi le scuse e il dietrofront verso Farage. Caos a Roma, caos sulla Rete. I giornali un po’ troppo piddini che suggeriscono di scolarizzarsi, perché analfabeti politici. Tutto secondo la prassi.
Eppure, se ti fai un giro in strada o al bar, luogo dove la politica politicante stenta a soffermare da anni la propria attenzione, il popolo grillino - quello che vota - non s’è accorto di nulla. O, meglio dire, non è interessato per nulla a questa diatriba. Secondo uno schema mentale talmente semplice da suonare alieno per gli abitudinari del Palazzo: se dobbiamo allearci, quindi sporcarci le mani, poco ci importa da che parte viene lo sporco. Tradotto in politichese, signori miei, significa che mentre i partiti tradizionali cantano vittoria, si autodefiniscono “moderati”, strutturano alleanze politiche, il magma grillino si sta vaccinando a un germe nuovo: l’alleanza antipolitica. Rischiando di diventare un collettore naturale di “patti” elettorali, tanto a destra quanto a sinistra. Caratteristica, questa, che nessun partito italiano allo stato attuale vanta.
Un bel pasticcio per l’Italia dell’alleanza politica per antonomasia, delle convergenze parallele, quella che funziona un po’ come la chimica tradizionale. Dove gli elementi, per reagire, devono essere messi insieme, non miscuglio ma composto. Altrimenti fanno gridare all’inciucio. E dove Grillo, finora, aveva vietato qualunque coalizione, ritenendo che il Movimento avesse soltanto da perderci e che, se vittoria doveva essere, sarebbe stata in solitaria.
Ora mi chiedo: ma non sarà che il gioco (poco fortunato all’apparenza) di Grillo in Europa abbia mutato questo assioma e mostrato una faccia inedita del M5s, una chance non prevista da sfruttare al meglio anche in vista delle elezioni politiche italiane?
Qualcuno potrebbe obiettare: solo teoria, perché nel caso specifico l’alleanza con i liberali di Alde è saltata, e pure fra i fischi. Beppe Grillo ha dovuto chiedere scusa al vecchio amico Farage, beccandosi del cornuto. Vero, ma insignificante nel momento in cui anziché guardare la luna torniamo per un attimo sul dito. Quello che nessuno guarda mai a causa del proverbio. Il problema politico non è del M5s (che viene respinto), bensì del leader liberale Guy Verhofstadt, è lui che si “sporca”, è a lui che saltano i progetti di gloria. Sul piano politico, Grillo l’accordo l’aveva portato a casa e se l’era fatto pure votare dalla base, i famosi 40 mila, con percentuali bulgare. E senza battere ciglio. Poi con la stessa flemma se n’è tornato indietro e in poche ore con perdite minime al gruppo (come dimostrano gli epurati storici, uno vale uno e se te ne vai vali zero) e, vox populi, nessuna sul piano elettorale. Immaginate cosa sarebbe successo al Pd o alla Lega se avessero azzardato tal capriola.
La verità è che sono questi i primi effetti dell’alleanza antipolitica con cui dobbiamo cominciare a confrontarci. Un meccanismo che, una volta trovato l’alleato disposto a rischiare, renderebbe il Movimento 5 stelle forte non solo in solitaria. Non tanto perché “vicino” politicamente ad altri schieramenti, ma per la ragione opposta. Perché forte di una naturale libertà di alleanza a termine, che spazia da Pippo Civati a Salvini, passando per la sinistra Pd, e che nessun altro possiede. Farage a Bruxelles ed Emiliano a Bari. Follie? Eppur si muove, alto nei sondaggi con l’Italicum, ma da oggi pure attraente nella palude proporzionale del Consultellum o del nuovo latinorum con cui chiameremo l’ennesima legge elettorale.
Se i partiti, come pare dalle dichiarazioni, fingeranno per l’ennesima volta di non vedere la mutazione in corso, ostinandosi a fissare sempre e solo la luna, faranno un regalo all’ex comico. Se la verità scomoda entrerà nel dibattito, qualche contromossa è possibile. Anche perché precedenti ce ne sono nei comportamenti di massa degli elettori. Solo all’apparenza differenti. Sembra che, all’improvviso, il M5s reagisca come gli italiani di fronte ai “cambi di casacca” di Marco Pannella. Nel 2013 alle regionali del Lazio, il Pd attaccò il leader radicale che flirtava con Storace: «Siamo in presenza di un inciucio vergognoso». Proprio quello che ha detto Salvini dopo l’approccio fra M5s e Alde. Così rispose Pannella: «Accogliamo l’invito di Storace, che lui definisce tecnico». Proprio le parole di Luigi Di Maio dopo il caos all’Europarlamento. E io, scusate, non credo alle coincidenze.
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