E adesso assistiamo tutti al rito laico ?del G7. Stavolta a Taormina, numero 43 della sua storia, sotto presidenza italiana. In genere, a leggere le cronache, un G7 vale l’altro, cioè poco o niente, tutto chiacchiere ?e vago comunicato finale, grandi sorrisi ?e via la cravatta, una bella foto di gruppo e nuovo smalto per il padrone di casa. Stavolta, però, le cose potrebbero non andare così, se non altro per i molti esordienti e le novità di stagione che essi testimoniano. Circostanze che potrebbero costringere i sette grandi, ?più i due big della Ue, a smentire le consuetudini e a lanciare qualche segnale più chiaro sul futuro che verrà.
Speriamo.
Sarà per esempio la prima volta di Donald Trump, eletto presidente degli Stati Uniti dopo aver promesso più protezionismo economico e meno interventismo politico-militare; debutterà Emmanuel Macron, che dice di ispirarsi a Mitterrand, ma ha scelto un premier più a destra di lui; esordirà anche Paolo Gentiloni, e chi gliel’avrebbe detto solo due-tre anni fa; e si vedrà per la prima volta anche Theresa May, che rappresenterà una Gran Bretagna con ?un piede fuori dell’Europa dopo essere stata per decenni con un solo piede dentro. E poi, assai interessante alla luce del tema generale di questo G7 all’italiana - come far sì che politica ?e governi recuperino la fiducia di elettori e cittadini - un altro dettaglio: Trump non doveva vincere e ha vinto; Macron non poteva farcela, e invece è all’Eliseo; Merkel era finita e invece umilia l’Spd; ?e May ha vinto quando si pensava che avrebbero stravinto Cameron e il suo “remain”.
Poi si entrerà nel merito - migranti, difesa e sicurezza, commercio internazionale, clima - e sarà importante vedere i primi passi, pesare intese e diffidenze, immaginare gli equilibri prossimi venturi. Se l’Italia riuscirà a ritagliarsi uno spazio adeguato. E quale sarà l’atteggiamento verso i due convitati di pietra: la Russia di Putin, che da quattro anni, dopo la crisi Ucraina, non partecipa più ai G7; e la Cina di Xi Jinping assai interessata, per ragioni economiche e commerciali, a capire quali saranno i rapporti Usa-Europa. Due continenti mai così lontani sui temi chiave.
E allora cominciamo da qui. Trump forse spiegherà in che cosa consiste il suo vangelo protezionista (“America first”) e come esso si traduca in economia, valore del dollaro, mercati. Se considera il G7 sede degna per discutere, litigare e decidere. O se confida di più nei rapporti diretti con Putin e Xi Jinping. Per ora sembrerebbe difficile, se non altro perché la Cina cerca proprio nell’Europa un’alternativa al mercato americano che l’uno vorrebbe aperto, l’altro chiuso entro i confini nazionali. Conterà verificare le posizioni di Canada e Giappone, da sempre filoeuropea l’una e filoamericana l’altra: cambierà qualcosa? Anche May è attesa al varco: si dice che Brexit favorirà un più forte patto anglo-americano, vedremo se le cose stanno così e se la Gran Bretagna, a parte i contenziosi miliardari, può davvero fare a meno dell’Europa. Potrebbe essere vero il contrario.
Poi ci sono i soci forti dell’Europa, il debuttante e la veterana: Macron, in sella con largo consenso, ma in attesa di vedere l’esito delle legislative di giugno dalle quali dipende la sua maggioranza parlamentare; e Merkel - al G7 numero dodici - che, salvo colpi di scena, sta per conquistare il suo quarto cancellierato. E la domanda chiave è sempre quella: si rafforzerà l’asse franco-tedesco? Mitterrand lo rilanciò dopo la caduta del Muro, preoccupato che la riunificazione tedesca risvegliasse il fantasma della Grande Germania; quasi trent’anni dopo Macron deve far dimenticare la pochezza di Hollande e bilanciare il protagonismo germanico. Missione per niente facile, perché ciò che ha in testa lui - ministro delle finanze unico, bilancio europeo espansivo, più integrazione, meno sovranità nazionali - è proprio ciò che Merkel teme; perché bisognerà capire se dalle elezioni la Cancelliera uscirà o no più forte nei suoi sospetti e vincoli; e come farà il presidente francese a pattinare tra la sua idea di Europa e la necessità di misure drastiche per portare il bilancio statale sotto controllo.
E poi c’è l’Italia che le statistiche inchiodano agli ultimi posti per crescita del Pil e ai primi per i pericoli del sistema banche. Ma per paradosso, proprio nel suo momento di maggiore debolezza politica ed economica - non si sa quando si vota, non si sa se dalle elezioni nasceranno una maggioranza e un governo, il debito pubblico è al nuovo record di 2262 miliardi - l’Italia potrebbe giocare un ruolo centrale (si legga “A chi serve l’Italia”, ultimo bellissimo numero di “Limes”): Ue e Merkel ci guardano con molto sospetto e poca benevolenza, ma siamo determinanti per ogni piano sull’immigrazione; decisivi per la tenuta dell’euro; utili alla Francia come alleati per riequilibrare l’alleanza con la Germania; strategici per le ambizioni commerciali della Cina (e infatti ?Xi Jinping ha voluto incontrare ?Gentiloni a quattr’occhi).
La geopolitica è dalla nostra parte, unita alla tradizionale attitudine diplomatica ?a essere, per esempio, filorussi senza essere antiamericani e filoamericani senza essere antirussi, amici dei francesi e non nemici dei tedeschi. ?Ma ora che gli Stati Uniti sembrano più lontani, da Roma e da tutta l’Europa, ?e che Trump e Putin si sforzano di marciare di conserva, quell’antico galleggiare potrebbe non bastare più. Per questo il G7 può essere per una volta utile e concreto. E costringerci finalmente a riflettere sul ruolo ?dell’Italia e su ciò che deve fare ?per contare di più in Europa.
Twitter @bmanfellotto
G7 Taormina, solo chiacchiere e comunicato?
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