Tra gli ingredienti di Striscia la notizia, ?il pupazzo rosso è quello cruciale. In grado al tempo stesso di denunciare e divertire

Pochi giorni fa è morto Giorgio “Gero” Caldarelli. Era nato a Torino nell’agosto 1942, aveva studiato da mimo alla scuola del Piccolo Teatro di Milano e a metà anni Settanta aveva fondato assieme all’amico Maurizio Nichetti (l’omino baffuto e carico di genialità che scrisse, diresse e interpretò la poesia lieve del film Ratataplan) una compagnia di attori chiamata Quelli di Grock.

Un bravo artista, Caldarelli. E al tempo stesso, per il grande pubblico, un uomo senza volto. Perché la sua oggettiva dose di successo l’ha conquistata animando giorno dopo giorno il Gabibbo per conto di Antonio Ricci. «Gero», ha dichiarato dopo la sua scomparsa il padre padrone di Striscia la notizia, «è riuscito a dare a un pupazzo, che nasceva arrogante, grazia e poesia». Ed è vero, verissimo. Anche se altrettanto vero è che lo stesso Ricci, ovvero il Satana di Albenga, creatore infiniti anni fa del finto-vero telegiornale di Canale 5 e ancora oggi motore cerebrale dello stesso programma, non ha chiarito fino in fondo come stanno le cose: che come spesso accade sono complesse, delicate e clamorosamente in bilico tra arte, fantasia e cialtroneria conclamata, quando si tratta di tv.

Per essere più preciso, infatti, Ricci avrebbe dovuto aggiungere all’affettuoso ricordo di Caldarelli che l’arroganza - etica, culturale, surreale in certi casi e in altre occasioni invece devastante per lo straniamento imposto dal contrasto chimico tra il Gabibbo e il mondo reale - a cui ha fatto riferimento, è al cento per cento la sua. Come altrettanto sua, del solito inesauribile Ricci, era e resta la maestria di governare un programma di successo aggiungendo al senso dell’indignazione per i dissesti contemporanei (dal fronte ambientale a quello amministrativo, dalle emergenze sanitarie a tutto ciò che comunque scalda e agita il cuore del pubblico) una cattiveria in grado di inquadrare gli errori altrui e trasformarli in chiodi per crocifiggere lo sciagurato di turno (vedi il caso di Flavio Insinna e delle sue escandescenze nei confronti dei concorrenti di Affari tuoi).

Un contesto fatto di abilità e cinismo, agilità strategica e demagogia conclamata, a cui la sagoma rossa oversize agitata da Caldarelli ha donato un cuore infantile e un’efferatezza categorica. Nella grammatica del piccolo schermo, infatti, impossibile o quasi per un intervistato è controbattere alle contestazioni di un essere che al posto della pelle ha il peluche. Sempre e per sempre è destinato a vincere quest’ultimo: non c’è partita. E appunto per questo il Gabibbo, se non fosse stato congegnato e interpretato con una bipolarità oscillante tra intransigenza e bonomia, avrebbe rischiato di apparire odioso. Pericolo sventato grazie alla capacità di Ricci di affiancare al proprio intuito, e alla propria versatilità piratesca, quel colorato bambolone noto a chiunque traffichi con il telecomando.