Il vetro soffiato
Così papa Francesco fa la rivoluzione
Un unico Dio che vada oltre le differenze tra le varie religioni. È la grande idea che il Pontefice vuole diffondere in tutto il mondo. Per questo la principale riforma di Bergoglio è l’eredità del Concilio Vaticano II
Il Papa che ormai da cinque anni governa la Chiesa è ritenuto, dentro e fuori da chi si occupa e studia queste questioni, uno dei grandi riformatori e infatti lo è. Ma in che cosa, qual è il suo obiettivo, riguarda solo la religione o influisce anche sulla politica, sul rapporto tra le genti di tutto il mondo e perfino sui laici non credenti e perché? Ci sono stati altri Papi così universali in un’epoca come la nostra, dove i non credenti sono una massa in ogni Paese? E infine le riforme di papa Francesco vengono dopo una serie che ha reso il cristiano in genere e il cattolico in particolare assai diversi da chi fondò questa religione, che secondo i Vangeli ebbe inizio da Gesù figlio di Dio e fu poi completata da Paolo di Tarso e dagli Apostoli?
Tutte queste domande sembrano riguardare un certo genere di studiosi e nulla più. Il Papa, come tutti i suoi predecessori, fa notizia, ma non fa storia: la Chiesa è un’istituzione come le altre, cambia di continuo ma interessa soltanto quelli che di essa fanno parte e non l’umanità nella sua interezza. È comunque un fenomeno maggiore e al tempo stesso minore dello Stato: maggiore perché si occupa dell’Aldilà e cioè di quello che accadrà non solo alle persone ma all’intero universo; lo Stato è impegnato in questioni molto meno ampie ed elevate ma assai più concrete per noi giorno per giorno. I confini dello Stato sono semplicemente questioni nazionali ma importanti per ciascuno dei cittadini che in quello Stato vivono. Da qui risulta chiaro che la Chiesa è estremamente più importante per i credenti mentre lo Stato è infinitamente più limitato negli argomenti ma interessa tutti i cittadini. Questa descrizione di due fenomeni è però incompleta se non mettiamo in rilievo che la Chiesa, o meglio le religioni che differiscono tra loro nei vari territori, in ciascuno di essi è presente e quindi ha intensi rapporti con i singoli Stati. Questo intreccio ci dimostra tuttavia che l’importanza della Chiesa è comunque superiore a quella dello Stato poiché nella sua storia la Chiesa molte volte è divenuta anch’essa Stato riunendo insieme le sue funzioni ultraterrene e politiche e soprattutto sociali.
Il Cristianesimo nacque come una radicale trasformazione dell’ebraismo, oltre duemila anni fa e fu quella la prima riforma: l’ebraismo è il pre-Cristianesimo, la Bibbia è il cosiddetto Antico Testamento, al quale segue il nuovo Testamento, che comprende i Vangeli e gli Atti degli Apostoli. Poi venne la Patristica: un gruppo di studiosi, religiosi, filosofi, taluni dei quali divennero addirittura Santi, che analizzarono a fondo la nuova religione e ne completarono quella struttura il cui vero fondatore era stato Paolo di Tarso. Tra gli scrittori della Patristica emerge Origene e poi si chiude con Agostino che di fatto fa il paio con Paolo. Uno cominciò e l’altro completò la storia del Cristianesimo nei primi quattrocento anni della sua esistenza. È inutile ricordare che entrambi sono stati santificati.
* * *
Queste sono le premesse della storia della Chiesa che è stata scritta infinite volte ma che merita attenzione anche perché col passare del tempo cambiano le domande perché cambia anche la Chiesa, mutamenti che hanno richiesto un numero cospicuo di riforme. In realtà il primo blocco riformatore avvenne nell’Europa del X secolo; il rapporto tra il Papa e i Vescovi da lui nominati che lavoravano direttamente con lui. Anche i Re che guidavano vasti territori europei, cominciarono a utilizzare la religione e quindi il lavoro dei vescovi con cura di anime. Perciò, oltreché dal Papa, i vescovi cominciarono ad essere nominati anche dai Re o dai grandi feudatari che pur non avendo quel titolo sui loro feudi regnavano. Nacque a questo punto un contrasto che con il passare del tempo diventò molto acuto circa il diritto alla nomina dei Vescovi. I Re sostenevano che la nomina doveva esser fatta da loro poiché le persone religiosamente curate vivevano sui loro territori; naturalmente a nomina avvenuta i Re chiedevano che il Papa l’approvasse ma se qualche volta accadeva che da Roma arrivasse un rifiuto e non un’approvazione, i re confermavano la nomina e il candidato vescovo di solito accettava e solo talvolta rifiutava adattandosi al giudizio del Papa. Di anno in anno questo contrasto diventò enorme, contrapponendo il Papa a tutta la struttura di comando dei territori europei, composta da molte centinaia di persone. Ad un certo punto di questa storia i Re decisero che uno di loro si chiamasse Imperatore ed avesse un’autorità di rappresentanza e non di più, ma tuttavia era quello che doveva essere benedetto dal Papa per la conferma della nomina.
Tutte queste premesse prima di affrontare l’esame della situazione attuale sono necessarie per comprendere la portata della “politica rivoluzionaria” cui assistiamo adesso.
La storia andò avanti con la crescita sia della Chiesa sia degli Stati nei loro rispettivi domini spirituale l’uno, temporale l’altro, ma la disputa sulle investiture dei vescovi e dei Re invece che attenuarsi si ingrossò fino a trasformarsi in una sorta di guerra anche perché nei territori dove le investiture venivano effettuate gli stessi vescovi avevano la loro opinione che in certi punti e in certe situazioni si opponeva o alle nomine del Re o a quelle disapprovate e non benedette dal Papa. Fu chiamata appunto la “lotta per le investiture” ed ebbe soprattutto due protagonisti: il Papa Gregorio VII (Ildebrando) e l’Imperatore Enrico IV, Re di Sassonia. Enrico aveva a quell’epoca ventitré anni, Gregorio naturalmente molti di più, il carattere di Enrico era al tempo stesso allegro e fermissimo; amava soprattutto il potere che voleva pieno e assoluto. Gregorio da parte sua veniva dall’abbazia di Cluny dove aveva studiato a fondo il tema che torturava la Chiesa e si era convinto che uno scontro fosse inevitabile.
Enrico andò a trovarlo una volta, brevemente, ed entrambi ebbero un atteggiamento di cortesia e di gentilezza. Fino a che arrivò il momento determinante: Enrico continuava tranquillamente a nominare i Vescovi nel suo regno e papa Gregorio a sconfessarli mentre i Vescovi a loro volta litigavano fortemente tra loro, in appoggio a Gregorio o ad Enrico. Una di queste nomine fu fortemente avversata dal Papa il quale impose ad Enrico di sconfessarla; il Re imperatore ovviamente respinse l’ordine del Papa e lo dichiarò in pubblico ed altrettanto in pubblico il Papa notificò la scomunica al sovrano. Questa determinò per Enrico fenomeni estremamente preoccupanti perché la maggior parte dei dignitari, dei comandanti di truppe e di cortigiani lo trattarono come si trattava allora chi era scomunicato: evitandone ogni contatto politico, militare e perfino di presenza fisica: insomma un isolato come avesse la peste addosso. Questo era l’effetto della scomunica e questo si manifestò concretamente.
* * *
L’isolamento di Enrico era talmente esteso che lo obbligò a chiedere al Papa che lo perdonasse e di emettere un decreto che cancellava il suo precedente scomunicato.
Gregorio in quel periodo si trovava nella villa della contessa Matilde di Canossa che lo ospitava con molto piacere e lì dette appuntamento ad Enrico il quale doveva presentarsi dopo aver passato una notte all’addiaccio vestito soltanto con un saio. Questo avvenne dalle quattro di notte fino al mattino; per di più nevicava. Al mattino il Papa lo ricevette e lui dovette percorrere in ginocchio il tratto della porta d’entrata e la sala dove c’era il trono del Papa e così inginocchiato chiese il perdono. Il Papa sporse una gamba verso di lui e gli comandò di baciargli il piede. Enrico lo fece e così la scomunica fu ritirata. Così la grande riforma delle investiture ebbe fine. Non certo i problemi della Chiesa che non staremo qui a rivangare. Quello che c’è di riformatore ma nel senso più conservatore che moderno fu quello che accadde a Port-Royal de Champs in chiave giansenista con le relative scomuniche che venivano da Roma ed erano notificate al Vescovo di Parigi della chiesa di Port-Royal. Finì drammaticamente quando portarono via di viva forza persino le monache che risiedevano a Port-Royal de Champs. È inutile parlare dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese alla quale la Chiesa assistette fino a quando il Re rimase in carica. Voltaire diventò persino Abate (non prete). In un suo libro “Vent’anni dopo” Dumas scrisse addirittura che uno dei quattro moschettieri e cioè Aramis era diventato il Generale dei Gesuiti in Francia.
La Riforma maggiore era avvenuta due secoli prima quando Lutero uscì dalla Chiesa e aprì la porta al Protestantesimo che poi si estese molto largamente. In quel periodo a fronte delle tesi di Lutero ci fu la riforma programmata per conto del Papa da Carlo Borromeo che fu poi fatto santo.
* * *
Arriviamo ai tempi nostri, e al Concilio Vaticano I, al 1870 con la breccia di Porta Pia e il trasferimento del Re d’Italia al Quirinale. La Chiesa impose ai cattolici di astenersi da ogni attività politica e possibilmente anche da ogni contatto sociale con i non cattolici. Sorvolando sul modernismo che nacque come movimento interno alla Chiesa, ma fu da essa fortemente combattuto, arriviamo all’età di Giolitti. Il Papa dell’epoca autorizzò i cattolici a partecipare alla vita politica e nacque un accordo tra i liberali e i cattolici guidati da Gentiloni, antenato del nostro Paolo Gentiloni. Anche le guerre contribuirono a superare l’isolamento: la Chiesa si trovò coinvolta tanto nella prima quanto nella seconda guerra mondiale, praticando protezione e beneficenza per i militari che combattevano e per la popolazione civile in tutti modi possibili e appropriati.
Siamo arrivati al Vaticano II che fu indetto da papa Giovanni XXIII come Concilio che avrebbe dovuto modernizzare la Chiesa con una serie di riforme tra le quali quella di studiare con molta attenzione la società moderna come si configura nel mondo attuale e modernizzare in qualche modo utile ed anche profondo le istituzioni ecclesiastiche. Dopo Giovanni XXIII fu insediato Paolo VI che gran parte delle riforme indicate nella conclusione del Concilio effettuò. Papa Wojtyla che venne subito dopo grandi riforme non ne fece, fu di grande popolarità e viaggiò visitando territori vicini e lontani da Roma in Paesi africani, orientali, nordici, meridionali. Ebbe un afflusso di folla quando arrivava in territori lontani da Roma; fu persino ferito da un attentatore in rapporti con la mafia turca ma questo accrebbe la sua popolarità. Poi, dopo la sua morte, fu eletto papa Benedetto XVI che dovette però affrontare alcuni scontri con la Curia e anche con altri gruppi di Vescovi e Cardinali americani. Si batté per portare a fondo le riforme previste dal Concilio, qualcuna di esse riuscì a vararla ma lo scontro con gli oppositori fu talmente acceso che alla fine si dimise. Fu la prima dimissione di un papa dopo tanti secoli, con il celebre precedente di quella di Celestino V, organizzata dal cardinale Caetani che assunse il titolo di papa Bonifacio. Aperto il conclave per un nuovo Papa i voti si concentrarono su Jorge Mario Bergoglio che assunse il nome di Francesco. Aveva seguito prima da vescovo e poi da cardinale le vicende della Chiesa da Buenos Aires dove operava e abitava. Tra le varie riforme da mandare in opera previste dal Vaticano II, la principale che è rimasta a papa Francesco è la più importante di tutte: la modernizzazione della Chiesa, nel senso di studiare la società moderna, in gran parte laica e comunque con una notevole quantità di religioni diverse con riti e deità diverse. Insieme a questo problema molto complesso e portatore di mutamenti in una Chiesa che abbia conosciuto nel profondo la modernità di oggi, c’è quello dei rapporti tra papa Francesco e tutte le religioni esistenti, le condizioni dei popoli poveri, prolifici, privi di lavoro, che alimentano correnti crescenti di emigrazioni verso Paesi più ricchi. La maggior parte di questi movimenti parte dall’Africa e ha come obiettivo l’Europa e come meta più prossima l’Italia. Credo sia inutile parlare di un tema che conosciamo tutti molto bene.
* * *
Per studiare la società moderna papa Francesco ritenne di aver bisogno di qualcuno che quella società la conoscesse e che fosse non solo laico ma addirittura non credente perché questi sono i tratti maggiori del mondo attuale. E avendo letto alcuni miei articoli che affrontavano argomenti per lui interessanti volle conoscermi, ci incontrammo a Santa Marta, parlammo a lungo di questi problemi, della società moderna, dell’ateismo (il non credente non è ateo perché crede in un Aldilà, un Essere concepito in vari modi). Papa Francesco ha una idea molto precisa della società moderna ed anche di un altro problema estremamente importante e cioè l’esistenza di varie religioni, di vari popoli che le praticano e persino di alcune organizzazioni terroristiche che si valgono della loro religione (islamica) con una visione del loro Dio che li stimola a uccidere con azioni di terrorismo della peggiore specie, in Europa, in America, in India e praticamente in tutto il mondo. Le innovazioni che papa Francesco ha introdotto nella Chiesa sono molte, previste ma anche al di là di quanto programmato dal Concilio, ma la più rivoluzionaria anche se la più logica è quella di avere proclamato una verità di piena evidenza logica: esiste un Dio unico ed unico Creatore. Le varie religioni si giustificano con la varietà dei riti che storicamente sono emersi ma questa varietà non inficia affatto l’idea del Dio unico perché si tratta di diversità culturali e sociali ed anche storiche. E poi c’è il protestantesimo cristiano che parte da Lutero ma si è moltiplicato fino a ridurre i luterani ad essere i meno numerosi di tutti gli altri.
* * *
Il Dio unico è un pensiero rivoluzionario in un mondo che ha vissuto per millenni in mano a divinità molteplici, alcune delle quali guidarono per millenni quello che per lunghissimo tempo è stato sede delle grandi civiltà dalla Russia europea al Medio Oriente al Mediterraneo all’Europa o nel centro culturale dell’ellenismo ateniese e il centro politico della Roma repubblicana e imperiale.
Papa Francesco conosce benissimo questa storia e quelle divinità che all’epoca rappresentavano il culmine spirituale dei popoli che pregavano ora l’uno ora l’altro degli dèi imperanti e ancora ne conservano la memoria e la pratica. Ecco perché l’idea del Dio unico è formidabile e il Papa la diffonde con spostamenti nel mondo di enorme quantità, qualità, intensità e affluenza. Un’altra idea fondamentale di papa Francesco è quella che Lui chiama il meticciato e cioè la mescolanza dei popoli che tendono ad affluire nei Paesi ricchi provenendo da quelli poveri e in questo modo la tendenza di un mondo integrato con diseguaglianze estremamente ridotte, libertà, fraternità. I problemi dell’emigrazione sono sul tavolo di lavoro di Sua Santità.
Un giorno gli domandai come mai aveva preso il nome di Francesco che non era mai stato usato dal Papato. La sua risposta fu questa: «Io non sono mistico ma vedo i mistici come un mito meraviglioso. Francesco d’Assisi fu mistico non per brevi momenti ma per tutta la vita, anche quando lavorava la terra con i suoi compagni di fede e viaggiava per il mondo senza mai fermarsi. Per me Francesco è il culmine del Cristianesimo, del misticismo e dell’unico Dio. Ecco perché ho preso questo nome che dentro di me mi rende partecipe di un sentimento mistico che rappresenta il culmine per chi crede in un unico Dio che ha creato un universo».