Nel giudizio di Bergoglio si tratta di una “rivoluzione tradita”. Perché i poveri continuano a essere oppressi dai ricchi

Nel 1968 Jorge Mario Bergoglio era un novizio della Compagnia di Gesù. E oggi che è papa non fa mistero di che cosa pensi dei «sommovimenti sociali» di quell’annata entrata nel mito. Ne sanno qualcosa gli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, che nel discorso che Francesco ha loro rivolto all’inizio di quest’anno si sono sentiti rinfacciare proprio quelli che il papa ritiene gli effetti perversi del Sessantotto.

Era la prima volta che Bergoglio diceva la sua su quell’anno, ed è andato subito al sodo. Dal Sessantotto in poi, ha detto, i «diritti dell’uomo» proclamati vent’anni prima dalle Nazioni Unite, «primo fra tutti quello alla vita», sono sempre più impunemente violati: «e penso anzitutto ai bambini innocenti, scartati ancor prima di nascere». Ma non solo. Ha denunciato che da allora hanno preso piede «nuovi diritti» in contrasto con le tradizioni socio-culturali di vari Paesi, e nonostante questo imposti con la forza, in una sorta di «colonizzazione ideologica dei più forti e dei più ricchi a danno dei più poveri e dei più deboli».

Contro il «diritto» all’aborto Francesco è stato chiarissimo, mentre sul secondo lamento, quello sulla «colonizzazione ideologica», è stato più sibillino. Ma per capire che cosa lì intendesse basta andare al passaggio dell’enciclica “Laudato si’” in cui egli condanna «le pressioni internazionali sui Paesi in via di sviluppo che condizionano gli aiuti economici a determinate politiche di “salute riproduttiva”». Oppure alle sue bordate contro «la cosiddetta teoria del “gender”» che «mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa», e quindi non è che il misero sottoprodotto «di una frustrazione e di una rassegnazione», e nonostante ciò è anch’essa imposta dai Paesi ricchi ai Paesi poveri.

È questo il Sessantotto secondo papa Bergoglio. Che né in quell’anno né nei successivi fece cortei od occupò università e fabbriche, ma visse comunque una sua rivoluzione tipicamente gesuitica ed argentina, dalla parte del popolo oppresso contro l’establishment oppressore, traendone, appunto, questo suo attuale giudizio sul Sessantotto come “rivoluzione tradita”, perché a dispetto dei presunti «nuovi diritti», anzi, proprio in forza di essi, a lui risulta lampante che i poveri continuano ad essere oppressi dai ricchi.

In Argentina i moti studenteschi e operai scoppiarono un po’ dopo che a Parigi o Los Angeles, nel 1969, l’anno in cui Bergoglio celebrò la sua prima messa, e subito entrarono in campo le formazioni armate, i Montoneros, che nel 1970, quando egli prese i voti, sequestrarono e giustiziarono l’ex presidente Pedro Aramburu. Precocemente nominato maestro dei novizi, l’allora trentaquattrenne Bergoglio sposò in pieno la causa del ritorno in patria di Juan Domingo Perón, in quegli anni in esilio a Madrid. Divenne la guida spirituale dei giovani peronisti della Guardia de Hierro, presenti in gran forza nell’università gesuita del Salvador. E proseguì tale militanza anche dopo che nel 1973 fu sorprendentemente nominato superiore provinciale dei gesuiti d’Argentina, nello stesso anno del ritorno in patria di Perón e della sua rielezione trionfale. Bergoglio fu tra gli scrittori del “Modelo nacional”, il testamento politico che Perón volle lasciare dopo la sua morte. E per tutto questo si attirò l’ostilità feroce di una buona metà dei gesuiti argentini, più a sinistra di lui, specie dopo che egli cedette l’università del Salvador, messa in vendita per sanare i bilanci della Compagnia di Gesù, proprio ai suoi amici della Guardia de Hierro.

Fu in quegli anni che il futuro papa maturò il «mito», parola sua, del popolo come protagonista della storia. Un popolo per sua natura innocente e portatore d’innocenza, un popolo con il diritto innato ad avere «tierra, techo, trabajo» e che egli vede coincidere con il «santo pueblo fiel de Dios». Il programma politico del pontificato di Francesco ha le sue radici proprio in quest’altro suo personale Sessantotto, la rivoluzione tradita dai ricchi e potenti ma di cui egli vuol riportare in alto la fiaccola.