Si eviterebbero così referendum e taglio dei parlamentari. Ma non sarebbe una buona scelta
Nei giorni scorsi un tweet di
Pierluigi Castagnetti (democristiano doc, plurideputato, ultimo segretario del Partito popolare, nonché amico personale del presidente Mattarella) ha messo a fuoco una data. E se la XVIII legislatura tirasse le cuoia nel mese di
gennaio? Voteremmo con la Finanziaria già approvata, prima che la Consulta esamini il referendum sulla legge elettorale promosso dalla Lega, e soprattutto prima che entri in vigore il taglio dei parlamentari. All’orizzonte, insomma, c’è un nuovo appuntamento con le urne, se la maggioranza giallorossa si suicida; anche se, per suicidarsi, bisogna prima nascere, e in questo caso la circostanza appare dubbia. Domanda: ci conviene? Ossia conviene agli italiani, al di là del tornaconto dei partiti? E conviene all’ordine costituzionale, in questi tempi di disordine, anticipare un evento che comunque sarà difficile evitare nei mesi successivi?
Proviamo, per l’appunto, a fare ordine sulle tre questioni che segnala Castagnetti. La
Finanziaria, innanzitutto. Certo che conviene approvarla prima di sciogliere le Camere, giacché l’alternativa sarebbe l’esercizio provvisorio del bilancio. Ovvero la paralisi, lo stallo. Del resto c’è almeno un precedente. Novembre 2010: il IV governo Berlusconi è sull’orlo della crisi, subisce la scissione della componente guidata da Gianfranco Fini, alla Camera viene presentata una mozione di sfiducia. Prima di votarla, però, bisogna approvare la legge finanziaria - dice il presidente Napolitano - per mettere il Paese in sicurezza. E infatti la sfiducia fu posta ai voti un mese dopo, il 14 dicembre, offrendo a Berlusconi il tempo d’allargare la sua vecchia maggioranza, con il soccorso di Scilipoti e altri “responsabili”. Morale della favola: niente Finanziaria, niente crisi.
Secondo punto:
il referendum sulla legge elettorale, escogitato da Calderoli e proposto da otto Consigli regionali. La Cassazione ha già dato il suo via libera, la Consulta si esprimerà alla fine di gennaio, dopo di che voteremmo in primavera, in una domenica compresa fra il 15 aprile e il 15 giugno. Sempre che, nel frattempo, il Parlamento continui a respirare. Secondo l’articolo 34 della legge che disciplina i referendum (n. 352 del 1970), nel caso di scioglimento anticipato delle Camere, il referendum già indetto resta infatti sospeso per un anno. Con gran sollievo dei piccoli partiti, giacché il referendum della Lega disegna un maggioritario secco, all’inglese, con collegi uninominali estesi a tutto il territorio nazionale. Un sistema drastico, mai sperimentato nella storia della Repubblica italiana. E allora? Se la Consulta lo dichiarerà ammissibile, significa che la Costituzione non s’oppone. Dunque non può opporsi nemmeno Mattarella.
Terzo argomento per interrompere la legislatura:
il taglio dei parlamentari. Anche quest’ultimo, però, è un argomento politico, non giuridico. La legge costituzionale approvata in ottobre dalle Camere elimina 345 seggi in Parlamento, ma avrà effetto non prima di 60 giorni dalla sua entrata in vigore. E quando scatta la mannaia? A marzo, se nessuno chiede il referendum confermativo sulla legge; altrimenti in piena estate. Perciò, sciogliendo le Camere a gennaio, resterebbe una tavola imbandita con un migliaio di posti a sedere, per la gioia dei commensali. Ma gioie e dolori riguardano i partiti, non il capo dello Stato. Nessuno può pretendere che lui si faccia complice di manovre per eludere la riforma appena battezzata, licenziando il Parlamento senza che sussistano i presupposti costituzionali per uno scioglimento anticipato. E dopotutto il presupposto è uno: l’incapacità d’esprimere un governo, di formare una qualsivoglia maggioranza.
Da qui la conclusione: una crisi a gennaio può corrispondere all’interesse dei politici, non degli italiani. Né della Costituzione, povera donna. Siccome però il loro interesse di solito prevale sull’interesse pubblico, non si può affatto escludere che dopo aver festeggiato il Capodanno la maggioranza faccia harakiri. Talvolta, per sopravvivere, bisogna un po’ morire.