Il pensiero della modernità riflette sul cambiamento ed è a sua volta mutevole. E resta il problema di come imbrigliare la volontà di potenza

Nei giorni scorsi mi sono riletto un mio librouscito circa venti anni fa e con il titolo “Per l’alto mare aperto”. L’ho riletto perché contiene molti pensieri e anche molte storie e i pensatori richiamati nel testo. Paragonandolo con quanto è accaduto nell’epoca moderna ne esce un testo di notevole utilità che stimola molto il pensiero. Per questo io ne parlo adesso: ne citerò qualche brano ma soprattutto ne trarrò delle conclusioni che sono di oggi e delle quali il libro può essere l’ispiratore.

Premetto anzitutto la frase della grande scrittrice russa dei primi del Novecento Anna Achmatova, che apre il libro del quale sto parlando:
«Ma voi amici siete rimasti in pochi.
Voi per questo più cari a me ogni giorno…
Come breve si è fatta la strada
Che di tutte sembrava più lunga».

I versi apparentemente dicono poco anche se ne scaturisce un sentimento poetico ben noto di quella scrittrice, ma in realtà danno il senso di quanto era già accaduto e stava per accadere ancora di più. Questa è la materia del mio libro che ho citato e che mi ispira ancor oggi pensieri per me nuovi anche se da cinquant’anni il pensiero è diventato il mio modo intellettuale di vivere e di comprendere l’attualità, buona o cattiva che sia.

Ci sono molti interlocutori in quel libro, che escono naturalmente dalla mia fantasia nel momento in cui scrivevo ma sono tratti in realtà dalla loro storia. Uno dei principali è Denis Diderot e la prima parte si svolge con un fantasioso dialogo tra lui e me. In realtà è lui che parla ed io mi limito a ricordare quel che ho letto delle sue opere e della sua vita politica oltre che culturale.

Ad un certo punto dopo esserci incontrati nei giardini del Palais Royal io gli propongo di essere il mio Virgilio in un viaggio alla ricerca della modernità. Del resto questa ricerca a me capita di farla spesso perché la modernità non è mai moderna: per definizione cambia di continuo e di continuo quindi occorre studiarla culturalmente e storicamente mettendo in luce anche i suoi mutamenti. Questo percorso mi è accaduto di farlo anche con papa Francesco ma molto prima di conoscerlo lo feci con Diderot e gli Illuministi. L’epoca moderna ha una data che rimonta agli inizi del Cinquecento, comincia con Galileo e con Montaigne e forse prima ancora con Niccolò Machiavelli e Leonardo da Vinci.

Gli Illuministi ereditarono questi elementi ma li portarono molto avanti anche perché Diderot e d’Alembert fondarono l’Encyclopédie e furono al centro di un folto gruppo di pensatori che sull’Encyclopédie scrivevano e utilizzavano politicamente la loro scrittura. Accanto a questi due c’erano altri due nomi uno più importante dell’altro culturalmente: Rousseau e Voltaire. Il numero degli Illuministi è molto più vasto e questi quattro sono i rappresentanti massimi di quel pensiero che è il centro della nostra ancora attuale modernità. Un centro che passa per Cartesio, per Kant, per Hegel, per Goethe, per Nietzsche e poi per il romanzo anch’esso fattore di aggiornamento: Dostoevskij, Tolstoj, Proust, Kafka, Joyce, Edgar Allan Poe.

La ricerca della modernità descrive soprattutto il rapporto tra il presente e il passato ma l’immagine dell’acqua che scorre e della persona che vi si immerge è uno dei punti fondamentali del pensiero moderno. Risale nientemeno che ad Eraclito ma la sua modernità resta nonostante i millenni da allora trascorsi. «Nell’acqua del fiume si può entrare una sola volta. Tutto scorre e questo crea il presente, il passato e il futuro».

La storia cambia per la posizione di questi tre tempi: presente, passato, futuro. È in quel rapporto che si stabilisce la modernità quando il presente realizza il futuro e poi si consegna al passato, è la sostanza di questi rapporti che determina la modernità, più lunga a trascorrere quando il futuro incalza il presente e più decadente quando il passato è l’elemento principale di quella triade.

Comunque il frammento eracliteo richiama anche un altro aspetto del pensiero filosofico: quello della relatività contrapposto all’assolutezza. Il tema della verità relativa è infatti uno dei caratteri dominanti della modernità ma il tema si completa con un altro punto di partenza che è la Ragione della quale tutti gli uomini sono dotati sia pure in diversa misura. La Ragione non è un elemento immobile: le passioni e gli istinti la soffocano ma non la ottundono, il pensiero razionale è una caratteristica essenziale della nostra specie ed è presente in tutti gli individui. Tuttavia la Ragione non è un mito intangibile, non è un’entità astratta che dovrebbe governare il mondo. Sono stati commessi molti errori in nome di quella divinità e anche alcuni crimini e tuttavia la razionalità insieme agli altri elementi che determinano il pensiero è probabilmente uno dei principali e Voltaire è tra quelli che più di tutti l’ha teorizzata e sostenuta.

Se noi volessimo applicare questo modo di vedere la realtà intellettuale, culturale, politica, potremmo dare un giudizio molto appropriato agli eventi che si stanno producendo in Italia, in Europa e nel mondo intero. Razionalità, futuro, presente e passato, moralità: oltre a questi dobbiamo anche inserire l’autonomia della politica tra gli elementi fondativi della modernità. La politica è sempre stata autonoma dai tempi dei faraoni a quelli di Pericle, da quelli degli Scipioni a quelli di Cesare, da Carlo Martello fino a Elisabetta d’Inghilterra. La vera novità non è dunque l’autonomia della politica ma l’emergere del sentimento morale che ha imposto limiti all’azione politica privilegiando i fini rispetto ai mezzi e criticando i fini senza l’appagamento di bisogni e di speranze collettive. Non sempre il sentimento morale è riuscito a prevalere sulla volontà di potenza, ma questo è un altro problema che la modernità ha il dovere di fronteggiare.

C’è dunque molto da fare sul piano etico, culturale e politico. La storia moderna ci insegna ampiamente e noi dobbiamo agire per evitare il peggio e realizzare il meglio.