I loro uffici erano alle estremità opposte del corridoio strozzato, un budello, che attraversava tutta la redazione. Per raggiungere l’ufficio di Paolo Murialdi bisognava affrontare l’andirivieni frenetico di redattori e fattorini. Paolo, il vice redattore capo, quasi sempre in giacca e cravatta, non poteva distendere le lunghe gambe sotto la scrivania perché erano bloccate dalla parete di fronte. Era un ripostiglio.
L’ufficio che era stato prima di Gaetano Baldacci, il fondatore del giornale nel ’56, e poi di Italo Pietra, succedutogli come direttore, era più grande, ma spoglio come un deposito di merci abbandonate. Questa scapigliata sobrietà era il mio ideale di giovane cronista. Non era ancora il momento dell’informatica e il ticchettio delle macchine da scrivere era una musica di fondo.
Le prime pagine settimanali di cultura apparse su un quotidiano italiano (ed era Il Giorno) venivano preparate nella cantina della milanese via Settala dove su scrivanie schiacciate tra pareti umide lavoravano Ugo Tolomei e Romeo Giovannini. Romeo era un ex seminarista sempre serio, strappato alla vocazione sacerdotale dalla visione di una ragazza che addentava una mela alla finestra dirimpetto nella sua Lucca natale. Ugo, discendente di una nobile famiglia, al contrario di Romeo scherzava sempre e si è suicidato quando aveva da poco compiuto cinquant’anni. Un altro suicida fu Tommaso Besozzi che spesso si rifugiava in quello scantinato dove si trovava più a suo agio con Tolomei e Giovannini che con i giovani del piano di sopra. Besozzi era uno dei più grandi inviati speciali d’allora. È morto schiacciato tra letteratura e giornalismo. Nello sgangherato edificio, un tempo sede dell’Avanti (saccheggiata dai fascisti negli anni Venti), Angelo Rozzoni, ex giornalista sportivo, dava stabilità all’inesperta generazione dei cronisti del dopoguerra democratico. Era un personaggio che avrebbe potuto figurare in un film americano nel ruolo di un redattore capo, quale era nella realtà.
Ritorno a quel mondo in occasione del centenario della nascita di Paolo Murialdi (2019), che mi riporta a quello precedente di Italo Pietra (2011). Di Pietra ero amico prima che diventasse direttore. Avevamo seguito insieme la guerra d’Algeria, spesso condividendo la stessa camera d’albergo nei momenti di ressa giornalistica. Aveva comandato negli ultimi anni della Seconda Guerra mondiale la Resistenza nell’Oltrepo pavese. E con i suoi partigiani era entrato a Milano prima degli americani. Ma prima ancora, ufficiale degli Alpini, era stato in Marocco, come agente dei servizi segreti italiani, per studiare lo sbarco degli alleati. Dopo l’armistizio del settembre ’43 era subito passato alla Resistenza e sulle montagne dell’Oltrepo pavese aveva trovato un giovane amico, che era stato con lui ufficiale degli Alpini: il ventiquattrenne Paolo Murialdi.
In Algeria, Pietra mi raccontò le sue esperienze di guerra con sobrietà. Non amava parlare di sé. Anche Paolo Murialdi era molto riservato. Sapevo che come ufficiale degli Alpini era stato un subordinato di Pietra. Lo fu anche, in seguito, come partigiano, poiché al suo ex superiore era stato affidato il comando di tutte le unità partigiane della zona. Oltre alle sue doti militari, Pietra era un abile negoziatore. Fu infatti capace di concordare l’azione dei comunisti, di quelli di Giustizia e Libertà e dei democristiani in aperta polemica tra di loro non solo sulla tattica di guerriglia da adottare ma anche sull’Italia politica da fare.
Durante una lunga assenza, che lo condusse in un luogo rimasto segreto, probabilmente la Svizzera, entrò in contatto con i responsabili dei servizi segreti americani. Neppure a Paolo Murialdi, quando era suo vice negli anni dell’ Oltrepo pavese e a guerra finita, quando lavorava nello stesso giornale, disse una parola di quel viaggio. Tutto lascia supporre che con gli americani affrontò anche il problema di Mussolini. Il conflitto volgeva alla fine, e il dittatore poteva essere catturato dai partigiani. Quale sorte riservargli?
Da poco entrati a Milano come liberatori, Italo Pietra e Paolo Murialdi ricevettero la segnalazione che il duce in fuga si trovava nelle vicinanze di Dongo. A loro spettava di andarlo a scovare. Fu scelto il colonnello Valerio (al secolo Walter Audisio), un comunista, che giustiziò Mussolini. Anni dopo nella derelitta sede di via Settala noi cronisti avevamo un direttore e un redattore capo protagonisti delle ultime ore della seconda guerra mondiale.