Nell’ultimo romanzo, lo scrittore premio Nobel ricrea il tempo passato attraverso i particolari. In un’atmosfera che ha del misterioso

Quel che Patrick Modiano ama è soprattutto il fantasticare che precede la scrittura. Non tanto la scrittura. In sé, la scrittura, non è per lui molto piacevole, perché bisogna materializzare i sogni su una pagina. Lui non scrive per parlare di se stesso o per tentare di comprendersi. Né per ricostruire dei fatti. Nessun desiderio di introspezione. È stato segnato nell’infanzia da un’atmosfera, un clima, a volte da situazioni delle quali si è servito per scrivere libri. Ma ha abbandonato l’aspetto autobiografico per restare su quello immaginario, poetico, con qualche avvenimento del suo passato remoto come fonte, come matrice. Nello scrivere, quel che ama è il sogno, la fantasticheria che lo precede. Resta che il suo stile preciso, puntiglioso nel rispetto della sintassi, di una chiarezza cristallina, è una delle qualità essenziali del suo lungo racconto che si snoda di romanzo in romanzo.

Ho ripreso fin qui, alla lettera, quel che Patrick Modiano ha detto di se stesso in una delle rare interviste, pubblicata dal settimanale Télérama quando aveva 69 anni, età in cui ha ricevuto il Premio Nobel. Oggi ne ha sette di più. E alle spalle un cospicuo numero di romanzi che in gran parte ho letto da quando, nel 1968, è apparso nelle librerie “La place de l’Etoile”. Mentre in Italia è da ottobre in vendita “Inchiostro simpatico” (Einaudi, tradotto da Emmanuelle Caillat), l’ultimo libro di Modiano, “Chevreuse” (Gallimard, pp. 158), è appena uscito in Francia. L’opera di uno scrittore che resta giovane a dispetto degli anni che passano è definita “proustiana”. Non per il fraseggio, non per lo stile, ma per il modo particolare di raccontare e ritrovare nella memoria “il tempo perduto”. Modiano fantastica su quello che scrive, e a noi piace leggerlo. Perché leggendolo abbiamo l’impressione che la narrazione, la trama, riprenda ogni volta, e sia destinata a continuare. I nomi e i luoghi che ritrovi spesso nei suoi romanzi contribuiscono alla magia che non svanisce.

L’atmosfera anzitutto. I particolari rianimano un passato, ricreano un’epoca: il sedile di velluto rosso e la griglia di un ascensore in un quartiere parigino (il borghese sedicesimo arrondissement); un ristorante (Wimpy) sui Campi Elisi; il brusio di voci che frigge nei telefoni di un tempo (quando i numeri erano accompagnati dal nome del quartiere, per esempio Auteuil 15 28); le bottiglie di birra senza schiuma. L’inventario può allungarsi: un accendisigari profumato, un orologio con innumerevoli quadranti, un carnet rilegato di cuoio verde… Gli oggetti sono lampi che segnano un momento e un’epoca. Nelle pagine di Modiano si sovrappongono i tempi di un’esistenza: l’infanzia remota, di cui si intuisce quel che nasconde; la giovinezza degli anni Sessanta; l’epoca contemporanea nebbiosa che si intreccia con le altre. In ognuna di esse ci ritroviamo anche grazie a quei particolari che sono il velluto rosso dell’ascensore, il nome di un ristorante, il numero di telefono in disuso. E talvolta anche per i nomi che si ripetono in vari volumi.

 

Nel mezzo degli anni Sessanta Jean Bosmans ha vent’anni. Esattamente quelli che aveva Patrick Modiano. Il quale l’ha creato come personaggio principale o di rilievo non solo nel suo ultimo romanzo. In “Chevreuse”, Bosmans è condotto verso una casa da affittare in cui sono nascosti strani segreti che dei sinistri individui tentano di svelare. Trascinato, contro la sua volontà, sulle tracce dell’infanzia che ha vissuto in quella casa, Bosmans vi trova frammenti del suo passato che lascia nell’ombra, che non cerca di svelare come farebbero altri. Il lettore aspetta invano che lo faccia. Si abbandona invece a un sogno in cui si incontrano fantasmi dall’aspetto di ricattatori e personaggi che sembravano svaniti. È una rete, qualcosa di simile a una ragnatela umana, un coro di echi dai quali l’autore non riesce a liberarsi. È un groviglio di piste inestricabile in cui si incrociano reminiscenze, indici realisti e particolari, dettagli nascosti. Questo dà forma alla trama romanzesca dello scrittore “maestro del mistero”. Come lo definisce il quotidiano La Croix.

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