Dentro e fuori
Con amarezza per gli ideali perduti, ma anche con ironia, il libro di Corrado Stajano ripercorre gli ultimi decenni dalla guerra alla pandemia
di Bernardo Valli
A tratti è un’autobiografia, ma è anche cronaca, spesso già storia nel racconto di un giornalista e grande intellettuale. L’una e l’altra provocano reazioni che vanno da irrefrenabili scatti di collera - non solo nell’analizzare l’incerta sorte assegnataci dal virus biologico (e psicologico) - a uno sguardo sanamente spietato a quel che abbiamo vissuto nei decenni passati. Il titolo è “Sconfitti”, di Corrado Stajano (editore “il Saggiatore”), un libro che accende o rispolvera molti umori, molti sentimenti. Nelle duecentosei pagine leggo quel che vaga in disordine, a brandelli, in tante intelligenze ancora in difficoltà nel valutare i momenti cruciali del secolo scorso e del ventennio successivo. Il titolo è impietoso. Si riferisce al Novecento italiano: il secolo degli “sconfitti”. Il libro ha un’impronta letteraria, ma non è fiction. È un racconto della realtà patria, che ci riguarda: illumina zone d’ombra di quel che è accaduto e accade nel nostro paese.
Ho parlato di collera, una collera spesso venata di ironia. C’è anche sarcasmo, in molti capitoli. Nell’incipit Stajano descrive la popolazione sventolante bandiere ed eccitata dai canti popolari, siamo all’inizio della pandemia, che poi all’improvviso diventa silenziosa e sempre meno numerosa nelle strade dove il silenzio è interrotto dalle sirene delle ambulanze e della polizia. Si è parlato a torto di un clima di guerra: era invece un’emergenza “grave e rischiosa”. La quale non impedisce alla televisione pubblica e ai giornali di scrivere delle imminenti vacanze e del come comportarsi sulle spiagge. Prima che la pandemia si alleggerisse grazie alle vaccinazioni, molti si sono adeguati rapidamente ai coprifuochi diurni, durante i quali i privilegiati della società rinchiusi in casa riuscivano ad esercitare le loro attività, mentre gli altri, i meno abbienti, erano costretti a raggiungere il posto di lavoro. La mafia, colta di sorpresa, è poi stata in grado di fornire sottobanco vaccini e mascherine.
Chiuso il capitolo sul «funereo contagio del secolo», restando nel tema del suo libro, gli sconfitti, Stajano evoca gli ultimi anni della Seconda guerra mondiale, cioè la sua adolescenza. Per riservatezza non scrive del padre, generale nella spedizione italiana in Russia e poi prigioniero in un lager nazista. Dà invece la parola a Nesi Domenico, uno dei suoi attendenti, un soldato semplice, e allo scrittore Nuto Revelli anche lui testimone diretto di quella guerra alla quale partecipò, prima di entrare nella Resistenza appena ritornato in patria.
Le pagine in cui Stajano racconta gli avvenimenti che ha seguito da vicino sono le più vive, svelte nel racconto, con i personaggi ben disegnati. La cronaca diventa spesso letteratura. Rimanendo Storia. La strage di piazza Fontana è vissuta nelle sue tragiche e ambigue fasi. Stajano è tra i primi ad accorrere, si trovava nei paraggi della Banca dell’Agricoltura quando era appena avvenuta la strage. Era un venerdì e la banca restava aperta più a lungo per consentire agli agricoltori di venire in città a depositare contanti e assegni. «Vidi dietro il bancone degli impiegati l’orologio della banca di cui non mi ero accorto. Si era fermato alle 16,37. Quasi un notaio dell’attentato. Farà il giro del mondo alla tv e in fotografia». Sono giorni drammatici: i funerali delle vittime in piazza del Duomo sotto un cielo cupo, minaccioso; la morte di Pinelli, l’anarchico innocente in cui la polizia vede un colpevole comodo e lo incalza con interrogatori che dovrebbero indurlo a confessare quel che non ha fatto, al punto che Pinelli si getta dalla finestra della questura milanese di via Fatebenefratelli. Stajano chiede al commissario Calabresi, che aveva partecipato agli interrogatori, perché non era sceso a vedere, steso a terra, morto, un uomo che aveva interrogato pochi minuti prima. Il commissario non risponde neppure alla domanda ripetuta dal cronista.
Tanti personaggi si avvicendano nelle pagine di Stajano: dal cavalier Borghi, proprietario della Ignis e campione del familismo aziendale, a Silvio Berlusconi, e a personaggi più nobili come il generale dalla Chiesa e il giudice Falcone. Stajano conclude: «Quanti sconfitti nei loro ideali di libertà e di giustizia ora e nel secolo passato. Quanti fervori spenti».