Pensatore studiato in tutto il mondo, alla vigilia dei suoi cento anni ha raccolto in un libro i ricordi di viaggi e incontri che hanno pochi eguali

Edgar Morin (pseudonimo di Edgar Nahoum) ha pubblicato sulla soglia dei cento anni, che compirà nei primi giorni di luglio, un libro di memorie, “I ricordi mi vengono incontro” (Raffaello Cortina editore). In quella che potrebbe anche non essere la sua ultima opera, visto il brio e l’acume con cui si esprimeva ancora nei recentissimi pubblici interventi, una delle figure più degne d’attenzione della nostra epoca ha deciso di riunire tutti i ricordi riaffiorati nella sua memoria. Una memoria rimasta intatta che gli permette di dispiegare davanti a noi lettori, ma anche ascoltatori poiché gli capita di dar vita alle parole scritte in dialoghi e conferenze, l’epopea di un uomo che ha attraversato i grandi eventi del XX secolo e sa sviscerare quel che accade nel nuovo millennio.
 

Filosofo e sociologo, Morin è studiato e ascoltato in America, in Asia, in Europa, per l’approccio transdisciplinare con il quale ha trattato una vasta gamma di argomenti. Non solo l’epistemologia. Si è dedicato in particolare, nelle sue opere, ai problemi di una riforma del pensiero e della politica della civiltà. Ha affrontato le questioni partendo dalle riflessioni sull’umanità e sul mondo. Propone come auspicabile (ma improbabile) una nuova conoscenza capace di superare la separazione dei saperi imperante nella nostra epoca. Il mondo d’oggi visto da Edgar Morin fa pensare a una scacchiera in cui convivono, prigioniere, spesso senza frequentarsi, le varie discipline che regolano la società moderna. La medicina (con le sue specialità spesso autonome), la fisica, la meccanica, l’antropologia, la filosofia, le scienze naturali… Il filosofo invoca una riforma del pensiero, con una semplicità che seduce il lettore. Lo trascina verso un mondo che non sembra un miraggio.

In “I ricordi mi vengono incontro” Morin lascia in libertà il filo del racconto. Non segue i tempi, le epoche. Cita episodi, fatti, personaggi emersi al momento nella sua memoria, in apparenza disordinata, irrompente, spontanea come quella di un giovane. È un disordine che il filosofo arrivato agli estremi della vita si permette con un’energia che non è certo quella di un vegliardo. Ha incontrato spesso la morte e l’ha sconfitta. Lo racconta in uno spazio narrativo che comprende un secolo. Il filosofo si è ritirato tra le quinte. La sua scrittura è lineare lungo seicento pagine. Benché scaturiscano dalla sua memoria, precisa nella prefazione, i ricordi non sono memorie obbedienti a un ordine cronologico. «Sono arrivati e mi hanno invaso a seconda dell’ispirazione, delle circostanze, interpellandosi a vicenda, e alcuni ne hanno fatto emergere altri dall’oblio».

La ramificazione ebraica della sua famiglia si estende all’Italia. I suoi ascendenti di Salonicco venivano da Livorno. Parigino di nascita e cittadino francese, alla fine della guerra l’Italia fu il suo primo desiderio: il primo luogo dove fare un viaggio, spinto da sentimenti che risalivano alla giovinezza, quando ascoltava l’aria di Mignon di Ambroise Thomas («là dove vorrei vivere, amare e morire!»). L’idea dell’Italia lo sconvolgeva, e con l’età gli «inumidiva» gli occhi. Viaggiatore instancabile, il pensatore razionale, lucido, l’uomo di studi, si aggira nelle città italiane restandone affascinato e impegnandosi a descriverle: da Napoli a Firenze, da Bologna a Mantova, da Milano a Roma, da Firenze a Pienza... Ma in quei viaggi, lui che ha percorso assai più della metà del pianeta, soffermandosi in vari paesi, dall’Europa alle Americhe, dietro il linguaggio semplice, da narratore di storie, c’è sempre il filosofo, il sociologo, lo psicologo. Si è lasciato conquistare dalla vita. L’ha percorsa con curiosità e passione, senza la spocchia dell’uomo colto. Scopre volti, immagini, amori nuovi. Ha amato molto, lo confessa. Ha amato le donne che si sono avvicendate nei suoi cent’anni, l’arte, la letteratura, la musica il cinema, il teatro, la politica, i luoghi e i personaggi incontrati dall’adolescenza in poi. È facile essergliene grato. Anche perché ti fa conoscere Breton, Faville, Sartre, Claude Simon e tanti altri. E ti conduce a Cuba, in Messico, a New York, a Mosca, a Barcellona, e in molte città italiane. L’elenco è troppo lungo da citare per intero.

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