Le idee politiche autoritarie, omofobe e xenofobe, le radici neofasciste, le simpatie per Orban non sono mitigate dal genere di chi le pratica

Perché non basta essere Giorgia Meloni

«Dovresti essere contenta di Giorgia Meloni, dopotutto è l’unica donna leader di partito in Italia». Appare improvviso così, in mille frasi simili a questa, il grande equivoco del femminile scambiato per femminismo. Una donna a capo di un partito che affonda le sue radici nella tradizione fascista non solo non dovrebbe compiacere nessunə che abbia a cuore l’emancipazione femminile, ma impone anzi di far scattare una serie di allarmi ulteriori rispetto a quelli che già trillano per questioni di tutela dei valori democratici.

Cosa succede nella testa di chi è convintə che una donna sia sempre un valore aggiunto a prescindere dal contesto e dalle modalità con cui agisce? Perché Giorgia Meloni dovrebbe allertarci meno di quanto possa fare un Matteo Salvini di medesima area ideologica? La risposta è nella struttura del pensiero patriarcale, che attribuisce pregiudizialmente al maschile e al femminile inclinazioni differenti. È facile per tuttə guardare a un maschio a capo di un partito di estrema destra come si guarderebbe all’uomo nero per definizione. La forza dei suoi toni è percepita da chiunque come minacciosa e chi lo sostiene l’accetta solo nella misura in cui serve a intestarsi le rabbie comuni e a rivolgerle al nemico, all’altro-da-noi. Simbolicamente il rapporto con l’uomo autoritario somiglia a quello con un cane che dal giardino ringhia all’estraneo attraverso il cancello, ma prima di farci giocare i bambini di casa ci penseresti due volte. Così anche chi vota un uomo di estrema destra in fondo sa che la ferocia che oggi è rivolta all’esterno potrebbe trovare in qualunque momento un bersaglio domestico contro cui scagliarsi.
 

Salvini questo meccanismo di intercambiabilità lo già ha mostrato: i toni rivolti oggi ai migranti sono gli stessi rivolti ieri ai meridionali, a comprova che per lui tra il dentro e il fuori non c’è alcuna differenza. La donna al comando di un partito di matrice storica fascista, come già accadde con Marine Le Pen in Francia, sembra misteriosamente stemperare questo effetto allarmante. L’insistenza sui suoi marcatori di genere, soprattutto quello della maternità, conferma in chi ascolta il pregiudizio positivo di avere a che fare con una forma di autoritarismo sostenibile, privo degli estremismi del maschile.

Quando Meloni grida: «sono una donna, sono una madre», sta dicendo «Non abbiate paura della mia ferocia, è la stessa di un’orsa che reagisce quando le toccano i cuccioli». È d’obbligo dunque chiedersi chi siano i cuccioli di Giorgia Meloni. Il Guardian non ha dubbi sulle parentele: il partito di Fratelli d’Italia affonda le sue radici nel fascismo e confina, nei modi e nelle intenzioni, col partito polacco Diritto e Giustizia, che sposa un cristianesimo xenofobo (e dunque molto poco evangelico) e ha tra i suoi obiettivi la contrarietà all’aborto e al matrimonio gay. Giorgia Meloni non ha mai nascosto queste intenzioni, né le sue imbarazzanti simpatie per Orban, Bannon e altri conservatori xeno-omofobi, eppure gli ultimi sondaggi danno il suo partito al 20%, cifra che Salvini non ha visto neanche nel momento di massima espansione della sua Lega personale.


Se quel consenso fosse confermato dalle urne, un governo Meloni sarebbe espressione democratica? Sì, se la democraticità di un leader si misurasse dal consenso che raccoglie, ma questo non è vero: anche i peggiori dittatori del ’900 sono arrivati al potere passando per le urne. La democrazia si misura dalla qualità della vita di chi esprime dissenso e chi si è opposto alle posizioni di Giorgia Meloni in questi mesi ha potuto misurare sulla sua esperienza come la leader di Fratelli d’Italia tratti chi pronuncia parole di critica alle sue. Lo sa bene Roberto Saviano, che commentando le posizioni sue e di Salvini sull’affondare le navi umanitarie ha esclamato “bastardi” e si è visto querelare. In una democrazia quel “bastardi” è il j’accuse che è diritto non solo di ogni intellettuale, ma di ogni anima offesa dall’ingiustizia, soprattutto se quell’ingiustizia pretende di diventare istituzione. Giorgia Meloni non vuole sentirlo ed è da questo, non dal 20%, che va giudicata.

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Un Leone contro Trump - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso

Il settimanale, da venerdì 16 maggio, è disponibile in edicola e in app