Donatella Di Cesare risponde ai due filosofi che hanno definito il green pass una misura discriminatoria: «Non viviamo in un regime dispotico, ma in una democrazia che va salvaguardata»

Il greenpass non è una misura discriminatoria. La parola “discriminazione” ha un significato e un peso che non si può sottovalutare. Oggi ci sono tante discriminazioni che avvengono quotidianamente sotto i nostri occhi: quelle verso i migranti, verso chi ha la pelle di un altro colore, verso i poveri considerati un buco nero nel bilancio, verso gli operai che restano dall’oggi al domani senza un posto di lavoro. Per non parlare delle discriminazione innumerevoli, e spesso inenarrabili, verso le donne e ancora verso la comunità lgbt. Il greenpass non è equiparabile a nulla di ciò. Ho trovato pericoloso e aberrante il paragone tra greenpass e stella gialla perché vorrebbe mettere sullo stesso piano un bambino ebreo, discriminato per quello che era, con un antivaccinista che non è convinto, o non è ancora convinto, di farsi il vaccino. Queste equiparazioni sono fuorvianti sia che si interpreti il passato, cioè la persecuzione e lo sterminio degli ebrei europei, sia che si tenti di orientarsi nella complessa realtà della pandemia che ha segnato il mondo da ormai quasi due anni.

 

Di questo periodo, oltre al dolore e al lutto, ricorderemo il grande sforzo della scienza che, con una velocità senza precedenti, ci ha dato i vaccini. E senza vaccini tutto sarebbe oggi ben diverso. Questo non vuol dire che non si possano e non si debbano discutere i risultati della scienza e soprattutto le sue traduzioni tecnopolitiche. Lo strapotere degli esperti nello spazio pubblico è allarmante. La possibile riduzione del cittadino a paziente e la deriva di uno Stato medico sanitario sono rischi ben chiari in questi ultimi mesi. Ma non viviamo in un “regime dispotico” - è bene ribadirlo. Viviamo in una democrazia che va salvaguardata. Molti sono i rischi che la minacciano, a cominciare dalla depoliticizzazione di massa. La questione della sorveglianza si è acuita e costituirà una sfida, perché difficilmente si potrà fare a meno del tracciamento. Ma non siamo già sorvegliati per ben più futili motivi da un capitalismo che ci impone da tempo forme di vita?

 

L’idea che siamo liberi e autonomi è ingenua. Ma chi nelle piazze grida “libertà” crede anche che il vaccino sia una subdola alterazione del proprio corpo, a cui perciò intende sottrarsi. La fede nell’identità, il morbo identitario, attecchisce nella nuova destra che infatti mette il sigillo alla protesta. È indubbio che oggi viviamo la insolita condizione per cui il nostro corpo può essere arma di contagio e morte per gli altri. Proprio ciò dovrebbe spingere a mettere al primo posto la responsabilità. Questo - e non altro - è il messaggio del greenpass. Se è un grande errore denigrare o insultare i no vax, se occorre sempre il confronto, non sembra però che ci siano cittadini di seconda classe. La discriminazione è una barriera rigida. Non è questo il caso. A meno di non voler dire che siano, ad esempio, discriminati i fumatori.

La grande lotta oggi è quella per chiedere i vaccini per i senzatetto, gli immigrati, quelli che non hanno protezione e soprattutto per i paesi poveri, dove solo ancora l’uno per cento della popolazione è vaccinata. Qui è la discriminazione: tra chi ha avuto il privilegio del vaccino e chi è ancora esposto. Su questo diritto al vaccino per gli altri è tempo di mobilitarsi.