Governi prodotti da intese occasionali, senza grandi progetti per la società. Costretti a cavalcare le paure per poi rassicurare. E sempre più propensi a lasciare le decisioni ai tecnici. Dell’economia o della scienza

Perché in Europa la politica è debole

Vorrei premettere che le seguenti considerazioni non vogliono assolutamente rappresentare giudizi e tantomeno esprimere gerarchie di valore tra leadership ed élite politiche di diverse epoche, ma soltanto realisticamente la prospettiva lungo la quale stiamo, forse ormai irreversibilmente, procedendo. A tali considerazioni sarebbe perciò incoerente rispondere con affermazioni di tipo ideologico; esse sono giuste o sbagliate nella misura in cui sono realistiche o meno. La debolezza politica della stragrande maggioranza dei governi europei è un fatto misurabile sulla loro stabilità (salvata in molti Paesi da un regime presidenziale o da atti del Presidente) e dal carattere assolutamente composito delle maggioranze che li reggono. Nulla a che vedere con le coalizioni di un tempo. Quando anche non presentavano, come invece in Italia negli anni ’50-’60, una componente egemone, esse si reggevano certamente su grandi obiettivi comuni, in politica estera (la Ostpolitik tedesca) e in politica sociale (i decenni del Welfare sono stati resi possibili da coalizioni di questo tipo). Erano obbiettivi arrischiati, frutto di decisioni di grande peso.

Un governo forte progetta, e cioè decide e trasforma. Non assicura, o, meglio, cerca di assicurare che il proprio progetto volto a cambiare è ragionevole, possibile e utile alla fine per la crescita, in tutti i sensi, del Paese. Per una simile azione sono necessari governi forti, retti da forti e consapevoli coalizioni. In fondo anche il “compromesso storico” lo era: progetto arrischiatissimo al punto di costare la vita al massimo rappresentante del partito di maggioranza. Le grandi coalizioni possono naufragare, vivacchiare no.


Più un governo è il prodotto di intese occasionali, dettate dal primum vivere di forze politiche in crisi, e perciò incapace di visione e di progetto, più sarà costretto a puntare su iniziative di assicurazione. Non trasformerò nulla della struttura istituzionale, sociale e politica di questo Paese, ma state sicuri che nessun nemico turberà le vostre vite. I nemici sono vari, e ogni partito o fazione sceglie il suo. Del tutto logico che poi, insieme, formino governi di salute pubblica.

Si può governare anche senza decidere? Certo, è necessario però un regime di emergenza perenne, di stato di eccezione di cui si farà sempre più difficile, se non impossibile stabilire limiti e termini. Lo stato di emergenza, “costituzionalizzato” o no che sia, è la conseguenza inevitabile di governi deboli e partiti “sradicati”. Più l’azione politica è miope, incapace di previsione, dettata da ragioni di sopravvivenza, più per esercitarsi dovrà eliminare il confronto sulle strategie di riforma, confronto che non reggerebbe, ed esercitarsi su funzioni di sorveglianza e polizia. È l’estrema debolezza a creare oggi un clima diffuso di decisionismo - le cui velleità di efficacia, infatti, rapidamente dileguano. Per lasciare il posto a chi? Speriamo che in questo caso la storia non ci sia maestra…


Lo stato di emergenza, soprattutto quando informe, ad libitum, provoca un primo, vistoso effetto, che è esemplare della fase storica in cui si trova l’agire politico. Il fondamento della decisione tende inevitabilmente a passare in mano alla struttura tecnica, peraltro requisito essenziale di ogni sistema. Così è avvenuto per la crisi economico-finanziaria; allora erano le “leggi” dell’economia e del mercato a dover regolare in ultima istanza il “che fare” (oggi la musica è la stessa - solo che i tecnici hanno cambiato la loro interpretazione di quelle “leggi”, e meno male). Ora è la Scienza medica, o alcuni suoi eminenti settori. Non è la stessa cosa, certo - ma è esattamente la stessa logica. E il fatto che nessuno o quasi lo avverta è il segno massimo del pericolo che corriamo. Ormai ci sembra naturale che così accada: la debolezza della politica comporta che l’onere della decisione passi di mano. In Italia lo si era sperimentato anche con la “supplenza” esercitata dalla magistratura. Conseguenza ulteriore: se il decisore ultimo è la Scienza, sarà inevitabile un processo di omologazione tra le diverse, cosidette, forze politiche: tutte dovranno, infatti, adeguarsi e perciò riservare i propri conflitti ad altre materie. Quali? Ovviamente quelle riguardanti l’amministrazione delle linee di azione “scientificamente” assunte, e altre di pregevole contorno, pressoché assenti nelle preoccupazioni del pubblico. Il quale pubblico verrà con ogni mezzo rinfocolato nelle sue paure e nelle sue angosce, nella sua ansia di soffocare ogni volto e ogni parola che suoni straniera nel suo condominio, e rassicurato a un tempo che c’è chi pensa alla sua pace.


Temo tuttavia che il tempo in cui le assicurazioni in cambio di obbedienza a provvedimenti e norme incoerenti, cervellotiche e di assai dubbia utilità potevano bastare, stia finendo. Il tempo dello stato di emergenza sanitario finirà per forza (ma altrettanto per forza farà ritorno, non essendosi minimamente eliminate le cause che hanno prodotto la pandemia), e ne potrebbe a breve iniziare un altro, di assai più lunga portata. Nel quale torneranno al timone le grandi potenze economico-finanziarie che reggono ormai i nostri destini.

La crescita massiccia dell’indebitamento in tutti i Paesi, a eccezione della Cina, avrà inevitabilmente questo esito, che vi sia o non vi sia un Draghi a capo della Bce. L’unico mezzo per controllare il debito sarà l’inflazione che già riparte, grazie anche alla ripresa, ed è benedetta da tutti gli abitanti di Pirlandia - cioè della terra in cui tutto va bene quanto va bene il Pil. L’inflazione salasserà ancora i percettori di reddito fisso, dove una volta si trovava la maggioranza di quel ceto medio in via di estinzione, che si favoleggiava rappresentasse il pilastro della stabilità democratica. Sarà la seconda botta dopo l’introduzione incontrollata dell’euro, questa volta con l’aggravante drammatica della situazione occupazionale. La reazione a catena potrebbe avere esiti ingovernabili. Meglio procedere con smart working, distanza sociale, comunicazione on line. Affrontare strategicamente ineguaglianze e ingiustizie, pensare a nuove forme di occupazione e di reddito, è affare di altre coalizioni, chissà quando e chissà come possibili. Amazon, Google e compagnia approvano e assicurano della loro protezione.

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Un Leone contro Trump - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso

Il settimanale, da venerdì 16 maggio, è disponibile in edicola e in app