Dentro e fuori
Il palcoscenico vuoto, quale era la città di notte, lo riempivo con gli “eroi virili” di Conrad, secondo la definizione di un recente saggio di Asor Rosa
di Bernardo Valli
La guerra nel Viet Nam continuava (sarebbe finita nel 1975) quando ritornai, come corrispondente del Corriere della Sera, in Estremo Oriente dove avevo già vissuto per alcuni anni. Affittai un piccolo bungalow a Singapore, a quarantacinque minuti di volo da Saigon, perché nella vecchia colonia britannica, diventata una modernissima città-Stato indipendente, le trasmissioni erano facili, mentre non lo erano, e a volte erano impossibili, a Saigon sulla quale pesava l’interminabile conflitto e un’armata di cronisti affamati di telex e telefoni. Così mi capitava di dover fare la spola tra le due città, una in preda alla violenza l’altra esaltata da un boom economico, per comunicare col giornale. Saigon era in affanno di fronte a un futuro imminente e drammatico, Singapore era la pace e la possibilità di raggiungere le vicine spiagge malesi.
A quell’ epoca a Singapore l’illuminazione notturna superava a stento le case a due piani, tanto da dare l’impressione, in certi periodi, durante la stagione delle piogge, che sul vasto abitato pesasse, dopo le laboriose ore del giorno, il cupo e opprimente tetto della notte. Le parti alte dei grattacieli, le sommità degli edifici della metropoli ambiziosa, restavano nell’oscurità. Il cielo era come un soffitto basso ed esteso che decapitava i palazzi, lasciandoli nel buio, invisibili. La sera, rientrando nel quartiere periferico in cui si trovava il mio bungalow avevo l’impressione di percorrere un borgo d’altri tempi. Oggi su Singapore, la notte, non pesano più le tenebre. È una ville lumière.
Ero allora immerso nei romanzi e nei racconti di Joseph Conrad. Erano un diversivo nobile. Di qualità. Erano letture che mi facevano vivere altre vicende. Non avevano la prepotenza dell’attualità: ossessione ed esaltazione per un reporter. Joseph Conrad era una preziosa, inimitabile ancora di salvezza nei momenti liberi. Leggendolo immaginavo di essere ritornato a un secolo prima, alla sua epoca, quando il futuro scrittore, allora ufficiale della marina mercantile, nell’attesa di un imbarco o durante una licenza, faceva brevi tappe nella Singapore britannica e non certo modesta per quei tempi. C’erano ancora le navi a vela che venivano via via sostituite con quelle a motore non gradite, detestate, da molti uomini di mare. Conrad compreso. Cominciava un’altra epoca. La mia fantasia correva veloce, molto di più della vecchia macchina con la quale attraversavo la metropoli deserta. Addormentata ma animata da visioni. Singapore era stata sia pur brevemente la città in cui aveva sostato il mio scrittore allora preferito.
Il palcoscenico vuoto, quale era la città a quell’ora della notte, io lo riempivo con i personaggi di Conrad. Era lui che cambiava le scene nella mia immaginazione. I suoi personaggi, le loro storie mi tenevano compagnia, sfrattavano le notizie per gli articoli quotidiani sulla guerra. Avevo trovato romanzi e racconti di Conrad nelle librerie di Singapore: “Lord Jim”, “La follia di Almayer”, “Cuore di tenebra”, “Tifone” e altri ancora. Per una magia cui la letteratura sa dar vita, mezzo secolo dopo le mie fantasie notturne di Singapore sono da alcune settimane sapientemente raccolte, e molto arricchite (io non ero uno scrittore ma un reporter), in un volume di centonove pagine, alle quali l’autore, Alberto Asor Rosa, ha dato come titolo “L’eroe virile. Saggio su Joseph Conrad” (edito da Einaudi). Asor Rosa, non lo sa, ma ha compiuto per me un miracolo. In quello che lui chiama un “libretto” ragiona su “La linea d’ombra”, “Cuore di tenebra”, “Tifone”.
Tre racconti in cui «gli oggetti d’amore sono il mare, il proprio destino o il mondo delle tenebre che l’uomo stesso produce, per curiosità o per necessità, per poi restarne vittima». L’eroe virile ritorna in scena. Ma per Conrad, precisa Asor Rosa, la virilità, che sta scomparendo, consiste nel tener fede al rigore di una missione senza scopo né contenuto. A un amore di cose o di persone, che non riesce a concretizzarsi. Conrad è stato definito un conservatore. Era un esemplare nobile. Il giovane Italo Calvino, progressista, ex partigiano, fece la sua tesi di laurea su Conrad. Perché? gli chiesi un giorno. Mi rispose affiancando Conrad a Stevenson. Lo pensavo anch’io. Umilmente.