Lotta alle epidemie, per le donne clinica ostetrica e Istituto di maternità. Le opere della duchessa che resero Parma una città all’avanguardia

Quei due tendoni trasparenti, asimmetrici, sotto l’orologio di piazza Garibaldi, affollati di masticatori, non sono lo spettacolo appropriato a una città alla quale si dedica affetto e si riconoscono qualità storiche e letterarie. Eppure, sotto quei tendoni ci finisco anch’io.

 

Il richiamo del centro di Parma in cui sono rinchiusi tanti ricordi è irresistibile. Qualche visita, una scappata sempre più rara e abbreviata dalla scomparsa di parenti e amici, la faccio quasi sempre quando capito in Italia. E grazie alla presenza di nipoti e pronipoti che mi fanno sentire di casa ho l’impressione di non essere stato poi tanto a lungo lontano, come ha richiesto il mio mestiere, e la voglia inesauribile di viaggiare, per la verità ormai spenta.

 

Ho vissuto molto più tempo in altre città, in altri paesi, ma le due sponde della Parma (per il torrente che porta il nome della città, attraversandola, si usa spesso il femminile) mi sono rimaste più familiari di ogni altro luogo. Sopporto anche i due capannoni di plastica che deturpano piazza Garibaldi. Comunque, sono effimeri. In primavera spariranno. Lo spero.

 

Un amico mi ha regalato un libro di storia, letto tempo fa e riletto con identico interesse: “Parma e la Francia 1718-1789” dell’italianista francese Henri Bédarida, il quale si è generosamente e a lungo dedicato alla città. Nell’opera citata sono riprodotti brani di lettere indirizzate al conte d’Argental da Léon Guillaume du Tillot, o più semplicemente Dutillot, nato in una famiglia di valletti e diventato, oltre che marchese di Felino, primo ministro del Ducato di Parma e Piacenza. Il 21 maggio 1763 Dutillot scriveva: «Questo paese, dopo quarant’anni di disgrazie e di rivoluzioni, non è affatto in grado di arricchire la letteratura: ne è ostacolo la sua povertà. L’educazione è mal impartita, l’ozio è diffuso. Tutto ciò produce dei pigri e degli indolenti. Vi si trovano tuttavia spirito, agilità, duttilità e attitudine. Vi sono persone illuminate». Una buona politica, aggiunge, cambierà in pochi anni sicuramente gli uomini e i costumi. Da un pessimismo integrale Dutillot passa a una cauta speranza che le cose migliorino nel ducato. Ed esprime la sua superiorità di francese. Ma si dà anche da fare: ad esempio crea tra l’altro l’Accademia delle Belle Arti, un Museo d’Antichità, e stimola l’artigianato in tutta la provincia.

 

Il salto non è soltanto di anni. È di decenni. Adesso siamo nel 1814, in una Parma ormai lontana da quella dell’ex valletto diventato marchese di Felino. Una breve, dilettantesca visita storica mi porta tra le braccia di Maria Luisa. Questo viaggio è stato il mio regalo per il Natale 2021.

 

Prima di diventare duchessa regnante di Parma, Piacenza e Guastalla, è stata principessa d’Asburgo-Lorena, poi imperatrice francese, come sposa di Napoleone, fino alla sconfitta e all’esilio di quest’ultimo. Per decisione del Congresso di Vienna approda nella città emiliana, dove viene chiamata Maria Luigia e resterà fino alla morte nel 1847, più di trent’anni.

 

I parmensi, o parmigiani che si dica, sogghigneranno leggendo qualcuno che racconta la storia di Maria Luigia. Come se non la conoscessero. Ma mi limiterò a evocare quel poco che ho rivisitato delle tante opere fatte dalla duchessa regnante sulle sponde della Parma. Ha fatto tanto ed è stata per questo amata dai sudditi italiani (mentre è detestata anche nel ricordo dai francesi che non perdonano all’“austriaca” di avere abbandonato l’imperial marito in disgrazia).

 

Promosse anzitutto una prevenzione e una lotta alle epidemie che all’epoca, come oggi, non mancavano. Si preoccupò della condizione delle donne e inaugurò l’Istituto di maternità e la Clinica ostetrica universitaria. Per i malati di mente creò l’Ospizio dei Pazzerelli. Per aiutare la città in una fase sanitaria difficile fece fondere una costosa toilette d’argento regalatale dai parigini per il matrimonio con Napoleone. Fece fare il ponte sul fiume Taro, e uno sulla Trebbia. Per l’inaugurazione di quest’ultimo vennero l’imperatore Francesco primo d’Austria e consorte, genitori di Maria Luigia.

 

La duchessa reale inaugurò tanti altri ponti. Ma si dedicò anche, lei che amava la musica, alla restaurazione del Teatro Farnese e fece costruire il Teatro Regio (allora ducale) che è ancora oggi uno dei più belli della Penisola. Mi fermo qui anche se le opere di Maria Luigia sono molto più numerose. Un museo (“Glauco Lombardi”) è generoso nel presentarle. Concludo questo affrettato viaggio con un ricordo dell’adolescenza, durante la quale venivo spesso rinchiuso in un palco di proscenio del Regio: ho ancora viva nella memoria il tenore Giuseppe Momo che nonostante le scarpe con suole alte una spanna non riusciva a raggiungere l’imponente seno del soprano Lina Pagliughi. Era un’Aida, opera che i parmigiani prediligevano.