È passato poco più di un mese dall’entrata in vigore della legge sulla presunzione di innocenza e non si affievolisce dibattito e polemica soprattutto su quell’articolo che si occupa delle modalità di comunicazione alla stampa delle informazioni su procedimenti penali ed indagini, distinguendo due ipotesi.
Una prima riguarda le informazioni sui «procedimenti penali», cioè le indagini già all’attenzione della procura; in questo caso, solo il procuratore della Repubblica potrà, con un comunicato o eccezionalmente con una conferenza stampa, fornire le notizie, ovviamente non più coperte da segreto, quando è «strettamente necessario per la prosecuzione delle indagini o ricorrono ragioni di interesse pubblico»; nelle ragioni di interesse pubblico rientra certamente anche l’interesse dei cittadini a conoscere le indagini di rilievo e quello della stampa di ottenere le notizie che permettano l’esercizio del diritto, anche garantito dalla Costituzione, di informare.
La seconda riguarda le informazioni sugli atti di indagine, ovviamente quelli non segreti (ad esempio un arresto o un sequestro), della polizia giudiziaria; esse possono essere date dalle stesse forze di polizia, previa autorizzazione scritta del procuratore.
Sia i comunicati che gli atti di informazioni della polizia devono fare bene attenzione, nel contenuto, alla tutela della presunzione di innocenza e quindi a non qualificare come colpevole chi è ancora solo sottoposto ad indagini. Il brevissimo tempo trascorso, pur non consentendo bilanci, permette qualche prima considerazione che, mutuando dall’esperienza applicativa, ne evidenzia già aspetti positivi e negativi.
Indiscutibilmente positiva è l’attenzione alla tutela della presunzione di innocenza ma anche il superamento di un’ipocrisia del sistema; il giornalista può pubblicare notizie di indagini non più segrete, ma nessuna disposizione stabiliva come poteva procurarsele; gli uffici giudiziari, soprattutto le procure, si erano date disposizioni organizzative autonome, ma adesso è la legge che indica presupposti e condizioni e consente, quindi, di «tracciare» le informazioni. Un aspetto negativo evidente, invece, è costituito dalla burocratizzazione della comunicazione che impone comunicati e autorizzazioni anche per notizie banali, che pure possono essere di interesse; rendere noto l’arresto in flagranza di uno scippatore o un molestatore seriale è doveroso anche per tranquillizzare l’opinione pubblica, ma è davvero necessario prevedere carte ed autorizzazioni scritte?
La norma, inoltre, sovraccarica ulteriormente le procure; in un ufficio medio piccolo come quello di Perugia è stato costituito un gruppo di lavoro che si interfaccia con le forze di polizia e con i giornali, per assicurare costante presenza e tempestività delle notizie; e fatica non minore è dosare bene le parole, per rispettare la presunzione di non colpevolezza, cesellando con equilibrismo terminologico i verbi al condizionale in luogo dell’indicativo, con risultati che sicuramente faranno storcere il naso ai puristi della Crusca.
Il problema principale della normativa è, però, nella «completezza» dell’informazione; un comunicato, per quanto diffuso, sarà sempre stringato, limitandosi a riportare solo alcuni aspetti della vicenda; il giornalista che non interpreta il suo ruolo come quello di un “velinista” e vuole approfondire non potrà rivolgersi a magistrati e polizia che, per legge, non possono dire nulla. Questa situazione renderà concreto il rischio che si alimenti un sistema di “informazioni parallele” rese o da chi non è destinatario di obblighi (ad esempio, gli avvocati o gli indagati) o da chi illegittimamente li viola; un “mercato nero” delle notizie con possibili effetti distorsivi; chi dà informazioni sottobanco lo fa spesso per interesse, quantomeno per provare ad orientare, in cambio del favore reso, ciò che si pubblica.
Questo rischio non sembra essere stato considerato nel pur lungo dibattito parlamentare e oggi, essendo improbabile una correzione di rotta, l’unica soluzione possibile è quella di consentire ai giornalisti di accedere direttamente agli atti giudiziari, ovviamente quelli pubblici (un’ordinanza cautelare o un decreto di sequestro già eseguito); è possibile giungervi già in via interpretativa, come hanno fatto già alcune procure coraggiose e come è auspicabile facciano altre.