Parole nel vuoto
Almeno metà degli italiani non trova rappresentanza politica
Le loro istanze vengono ignorate o respinte dai governi. I ceti più deboli allora si astengono. O si rivolgono alla novità del momento. Ora è il turno di Giorgia Meloni
Congratulazioni anzitutto a Giorgia Meloni, prima donna a diventare, se lo vorrà, presidente del Consiglio in Italia. Si tratta di un exploit destinato a sciogliersi come neve al sole, analogamente ad altri dell’ultimo decennio, al Renzi del ’14, ai Cinque Stelle del ’18, alla Lega nazional-popolare di Salvini? Per consolidare il risultato sono numerose e ardue le difficoltà che la vittoriosa sarà chiamata ad affrontare, ma prima di analizzarle sarà bene far mente locale alla ragione di fondo di queste fluttuazioni sul “mercato elettorale”. Tra massa delle astensioni e votanti dei partiti, movimenti o semplicemente volti (come fu nel caso di Renzi) che emergono più o meno all’improvviso, uno è il bisogno che drammaticamente si esprime: trovare chi sia in grado di rappresentarli.
Vi è almeno un 50% di italiani a caccia di rappresentanza politica, che avverte ignorate, non affrontate o addirittura respinte senza alcuna adeguata motivazione dalle leadership di governo le proprie istanze. Società liquide? Fine della stratificazione classista? Tutto giusto quanto banale. Ineguaglianze spaventose sussistono, la crisi dello Stato sociale si aggrava, mentre altri strati della popolazione possono addirittura trarre vantaggio dalla situazione. La società contemporanea non è affatto un guazzabuglio confuso. Lo è solo per chi non voglia vedere differenze, contraddizioni, interessi di parte, e non voglia o non sappia decidere con chi stare, mascherando la propria impotenza con le belle frasi sul “bene comune”. Ecco che allora gli interessi non tutelati, i settori sociali più deboli ondeggiano tra novità e novità. Assaggiano una minestra, la sputano e ne provano un’altra. Fino al paradosso di cercarla al Sud nel “nordista” Salvini! Speranze disperate, che, appunto, non possono durare che lo spazio di un triste mattino.
Al Sud si fa ritorno, allora, mestamente, alle promesse dei Cinque Stelle, premiate per l’opposizione (si fa per dire) dell’ultima ora a Draghi (e c’erano geni politici a teorizzare che l’avrebbero pagata). Movimento comunque dimezzato rispetto al ’18, ma che avendo smentito frettolosi sondaggi “osa” ora presentarsi come vittorioso. Il voto al Sud merita una riflessione di lungo periodo. Il nostro Paese è sempre più spaccato, politicamente e culturalmente prima e più profondamente ancora che economicamente. Ciò non potrà non avere effetti sulla gestione di ogni strategia, a partire dalla realizzazione degli obbiettivi del Pnrr. La divisione Nord-Sud è leggibile anche in una prospettiva territoriale micro-politica: il comportamento elettorale sempre più difforme tra centro e periferia, tra grande-media città e “campagna”. Comportamento che è spia di un contrasto socialmente radicale e potenzialmente esplosivo. Le periferie non sono più quelle operaie, si dice. E chi ci è andato ad abitare? Quelli dei palazzi nei centri storici? E gli eredi degli operai hanno preso casa ai Parioli?
Torniamo al tema della rappresentanza cui abbiamo prima accennato. Saprà finalmente affrontarlo il Pd con un vero congresso, da cui possa nascere un nuovo gruppo dirigente? Ma, urgente ora, saprà governare la Meloni? Troppo abile, spero, per pensare di poterlo fare alla Orbán.
La sua collocazione europea dovrà essere ben profondamente riaggiustata. In fondo, la nostra nuova presidentessa dovrà ripercorrere quella strada che Fini a suo tempo aveva tentato all’ombra del Cavaliere con il Popolo della libertà. Le grandi potenze economico-finanziarie che reggono i nostri destini non le perdonerebbero passi falsi. Qui possono porsi per lei serissimi problemi col suo “alleato”, Salvini. A meno che i viceré e i colonnelli di quest’ultimo non le facciano il favore di sbarazzarsene.
Salvini ha sbagliato tutto in campagna elettorale, battuto in ciò solo da Letta. Dovrebbero pagare entrambi, e salato, ma per Salvini non è affatto detto. Per la Meloni, però, non è soltanto questione politica, ma anche di numeri. Rispetto a Lega e Forza Italia Fratelli d’Italia avrà gruppi parlamentari sotto rappresentati rispetto al voto. La spartizione delle candidature nei collegi uninominali era avvenuta sostanzialmente sulla base dei risultati del ’18, dove FdI aveva poco più del 4%.
Dunque, la Meloni ha sì stravinto il confronto interno, ma nient’affatto per quanto concerne la percentuale dei seggi di cui direttamente disporrà. Avrà sempre assoluto bisogno dell’appoggio degli alleati. L’uno, la Lega, in grande crisi “identitaria”, l’altro, Forza Italia, con una leadership che si muove apertamente in sintonia con la maggioranza politica che governa oggi l’Unione Europea. La concordia nel cosiddetto centro-destra durerà per quanto? Sarà l’ennesima vittoria di Pirro di cui è segnata la storia politica italiana degli ultimi trent’anni? Torneremo presto all’ammucchiata “di salute pubblica” con la Tecnica al potere? Lo imporrà il precipitare della situazione finanziaria, l’aumento dell’inflazione, la minaccia recessiva? Fallirà ancora una volta nel nostro Paese l’azione politica? Basteranno pochi mesi e i primi provvedimenti del Governo a darci la risposta.