Opinione

Torna lo spettro della recessione e siamo di nuovo in campagna elettorale

di Bruno Manfellotto   11 aprile 2022

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Si prevede una crescita del 2 per cento contro il 6,1 del 2021 e le conseguenze economiche della guerra in Ucraina saranno il tema centrale ora che ci avviciniamo alle urne

E poi c’è la campagna elettorale con i suoi veleni, che qui da noi non li fermano manco le bombe al fosforo. Si vota tra due mesi, il 12 giugno, in un migliaio di città piccole e grandi, pure a Padova e Palermo, Verona e Genova, Taranto e Parma. Otto milioni di italiani alle urne, l’ennesimo test importante per tutti, decisivo per alcuni. Senza contare i referendum.

 

Già si scaldano i motori. Facile che ad alzare i toni saranno non tanto i morti dell’Ucraina – armi sì armi no, né di qua né di là, il Papa faccia di più il papa – quanto le conseguenze economiche della guerra di Putin che già impensieriscono tutti, perfino il flemmatico Draghi e il silenzioso ministro Franco. Si aggirano due spettri, austerità e inflazione, e li abbiamo conosciuti tutti e due, uno dopo l’altro, negli anni Settanta: domeniche a piedi, simbolo dei sacrifici, e aumento a due cifre del costo della vita, la peggiore delle tasse, e a danno dei più deboli. Stavolta rischiamo che la miscela si avveleni vieppiù con l’aggiunta della recessione economica. Tra tutti gli incubi, questo è forse il peggiore di tutti.

 

I numeri annunciano un futuro molto difficile. Dopo il boom del 2021 – un più 6,1 benedetto dal rimbalzo post Covid – si scommetteva su un 2022 scintillante. Ma i carri armati hanno mandato tutto all’aria: ora Confindustria e altri prevedono una crescita dell’economia inferiore al 2 per cento che, dato l’abbrivio dell’anno precedente, equivale a dire che siamo fermi. Di conseguenza, brutte notizie per il debito, che tra virus e aiuti a famiglie e imprese ha toccato nuovi record. Soffrono anche le maggiori banche italiane che in terra russa sono esposte per circa 27 miliardi di euro.

 

Governo e commissione Ue, intanto, fanno salti mortali per trovare altrove più gas e petrolio (e figuriamoci ciò che succederebbe con sanzioni alla Russia sui prodotti energetici): però nessuno può dire se la ricerca andrà a buon fine, e in che tempi e a che prezzi. Nell’attesa, forniture molto più care hanno spinto oltre il 7 per cento l’inflazione che, essendo da costi, è la più difficile da arginare.

 

I riflessi sulle bollette li abbiamo visti; meno immediati ma altrettanto pesanti saranno quelli sui prodotti alimentari (a cominciare da pane e pasta) e sulle imprese di trasformazione che faticano a trovare le materie prime essenziali per le loro produzioni: dice Confindustria che già oggi 16 aziende su 100 camminano a scartamento ridotto, presto diventeranno trenta: produrre non conviene più. Per arginare gli effetti della guerra, il governo ha stanziato 10 miliardi, una bella somma, ma si calcola che la tassa Putin peserà sul sistema industriale per 68 miliardi. Tanto per capire l’entità del problema.

 

Così stanno le cose. E il clima politico ne risente, eccome. Giorgia Meloni si è fatta atlantista, però incalza il governo accusandolo di sottovalutare la tempesta sociale in arrivo; Giuseppe Conte, che fu “Giuseppi”, insegue Meloni sul suo stesso terreno e chiede scostamenti di bilancio per sanità, sostegni alle famiglie e salario minimo; Matteo Salvini, che come sanno bene i lettori de L’Espresso fatica a parlare di Russia, aspetta Draghi al varco delle prossime scadenze parlamentari destinate a irrompere sul voto, come la delega fiscale, che comprende la riforma del catasto, o le concessioni balneari; senza contare gli scontenti del Pd che non vedono l’ora di tornare a cavalcare argomenti «di sinistra».

 

Sullo sfondo, come la statua del Commendatore, incombe l’appuntamento del Pnrr, rimasto a metà della corsa, ora complicato dalla frenata dell’economia. C’è chi dice che quel piano non vada più bene, che sia da rifare, almeno da aggiornare, ma così aumentano i rischi che la realizzazione delle riforme previste slitti nel tempo. Ce lo possiamo permettere? La questione, come l’austerità minacciata per il prossimo inverno, è nell’agenda della maggioranza che però, rimosso lo choc della guerra, torna a essere rissosa e divisa. È in questo clima che la discussione riprenderà. Sì, vabbè, un momento, prima c’è la campagna elettorale.