Gli anni vissuti a Singapore, e i giorni sulla spiaggia dell’isola di Rawa, in acqua fra migliaia di pesci. Il ricordo del grande giornalista in attesa della pubblicazione delle sue memorie

Si può amare una coppia. È più ovvio, se sei un uomo, essere complice, avere rapporti privilegiati con il marito, oppure nutrire sentimenti diversi per la moglie. Il trasporto per l’uno o per l’altra non ha di solito la stessa natura. In questo caso parlo, invece, di un’amicizia strettamente fraterna. Era la mia condizione con i Terzani. Mi sentivo con uguale intensità amico di entrambi. Senza ambiguità. Quando Tiziano è morto ho avuto la sensazione che Angela ferita restasse la preziosa sopravvivenza di un’unione indissolubile. Adesso lei sta per pubblicare le memorie di quell’unione. Non dovrebbero tardare. Le aspetto con impazienza perché mi ricorderanno i nostri comuni tempi. Ad esempio, quelli di Singapore, dove abbiamo vissuto alcuni anni.

 

Quello dei Terzani Staude era ampio: vi vivevano i genitori, Tiziano e Angela, e i figli ancora piccoli, Folco e Saskia, con le loro governanti o cameriere cinesi, coinvolte nella famiglia. Il mio bungalow, su palafitte, non era al centro di un grande parco come quello dei Terzani, e più che modesto era disadorno. Era frequentato da persone di servizio indispensabili e un po' smarrite nel vuoto della casa: c’era una hama cinese, una cuoca- cameriera che garantiva la normalità anche durante le mie lunghe assenze, soprattutto in Vietnam a neppure un’ora di volo; c’era un kabun malese, indispensabile giardiniere che teneva lontano i numerosi rettili falciando puntualmente l’erba; c’era un jaga, un custode indiano presente notte e giorno. Questa illustrazione della mia casa di Singapore (da dove all’inizio degli anni 70 mi muovevo per raggiungere Saigon, Bangkok, Hong Kong, Tokio, Nuova Delhi, la Corea del Sud), il suo desolato vuoto, spiega la mia frequentazione di casa Terzani Staude.

L’intervento
L'amore spiegato da Tiziano Terzani
4/2/2015

Il loro bungalow era il nido della famiglia nel quale trovavo una calorosa, allegra ospitalità, dopo un breve tirocinio durante il quale penso di essere stato valutato. Ero uno scocciatore? Invadente? Noioso? Il verdetto fu positivo poiché ben presto fui accettato anche a Rawa, l’isoletta al largo della costa malese, di fronte al porto allora modesto di Mercing. Il quale era un po’ più di un paio d’ore da Singapore. A Mercing si lasciavano le automobili e si noleggiava una barca a motore che ti sbarcava dopo una breve traversata sulla spiaggia di Rawa dove non c’erano alberghi ma baracche di legno. Larghe capanne sgangherate, anche a due piani, come in un’isola abbandonata. Era un paradiso. Se i rispettivi giornali (Spiegel per Tiziano, il Corriere della Sera per me) ci cercavano chiamavano il porto di Mercing che ci avvertiva tramite la prima imbarcazione diretta a Rawa.

 

Angela a Rawa era regina. Lo era a modo suo. Con una grazia e una bellezza molto speciali. Amava ormai da anni Tiziano. Lo aveva sposato e reso padre due volte. I due personaggi erano in apparenza diversi. Angela veniva da una famiglia tedesca colta e non convenzionale. Lei stessa l’ha descritta così, il padre noto pittore e la madre architetta. Angela amava, ama, la poesia, ne sono certo, e la letteratura classica. Lui apparteneva a una famiglia toscana umile. Si era laureato a pieni voti alla Normale di Pisa, frequentata con una borsa di studio, ed era poi stato allievo di un’università americana, sempre per concorso, dove aveva studiato la storia cinese. Angela aveva dato al giovane esuberante e studioso l’eleganza delle sue origini familiari. L’aveva in un certo senso domato. Essendo lei stessa stata domata dalla pronta intelligenza (e dalla prestanza) del marito. La romantica tedesca cresciuta in Italia aveva scelto bene nella sua patria d’adozione.

 

Non ho mai visto un’acqua più bella di quella del mare (Meridionale di Cina) di Rawa. Spero lo sia ancora. Ma il turismo e la pesca industriale avranno fatto danni. Angela, Tiziano e io, tenendo in braccio Saskia e Folco, restavamo tra le onde per ore accarezzati da migliaia di pesci per nulla disturbati dalla nostra vistosa presenza. Ce n’erano di tutte le forme e di tutti i colori. A me piaceva guardare i miei amici nuotare in quel paradiso: sembrava di assistere a un’unione tra il mare e noi esseri umani attraverso quella massa multicolore che ci abbracciava amica.