La legislatura è iniziata da oltre tre mesi, ma mancano le commissioni d’inchiesta, tra cui quella dedicata alla lotta al crimine organizzato. E nella migliore delle ipotesi non se ne parla prima di fine marzo

Un fantasma si aggira per il Parlamento: le commissioni bicamerali. Nella scorsa legislatura erano addirittura 18. Ma, a oltre tre mesi dal debutto, ancora – con l’eccezione del Copasir – non ce n’è traccia. Per le commissioni di inchiesta, poi, un problema in più: serve una legge, da rifare per ogni legislatura. Perché? «Nel caso dell’Antimafia altrimenti sarebbe come istituzionalizzare la mafia», è la battuta che circola nel Palazzo. Risultato: al momento dell’arresto di Matteo Messina Denaro, il Parlamento non ha potuto fare tempestivamente il suo mestiere, scavando lo scavabile con i poteri che avrebbe.

 

I più ottimisti prevedono che i 25 deputati e gli altrettanti senatori non si insedieranno prima di fine marzo, se va bene. È l’andazzo delle ultime legislature. L’Antimafia del Parlamento eletto a febbraio 2013 cominciò i lavori solo il 21 ottobre (8 mesi dopo). Quella della legislatura cominciata a marzo 2018 si insediò il 14 novembre. Se la mafia è un’emergenza, perché il Parlamento non si mobilita con un automatismo a ogni legislatura per non farsi cogliere impreparato?

 

Un terzo delle confische resta al palo
È una piaga nella piaga. Prima il sequestro, poi la confisca, ma alla fine poco o nulla. Nel 2021 il 33 per cento dei 19.255 beni requisiti alle organizzazioni criminali non ha trovato destinazione. Il risultato sconsolante arriva dal report dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. La sequenza virtuosa si inceppa proprio nel chilometro finale. Una bella fetta dei beni resta sul groppone dello Stato, costi e oneri di gestione compresi. Sono ben 6.486 gli immobili, i terreni e le imprese in attesa di destinazione. Molte aste vanno deserte. Il meccanismo non funziona, lo dimostrano i beni assegnati a fine 2021: l’82 per cento agli enti locali, il 13 resta nella disponibilità dello Stato, solo il 4 per cento degli edifici venduto e appena l’1 reintegrato nel patrimonio aziendale. Catturare il Padrino e confiscarne il patrimonio non basta.

 

Corsa alle onorificenze: 3.500 l’anno
«Una croce da cavaliere e un mezzo toscano non si negano a nessuno». Folclore a parte, il motto di Vittorio Emanuele II ha subito in 160 anni interpretazioni più restrittive. Dal 1951 il tetto massimo alle cariche onorifiche viene fissato con un decreto del presidente della Repubblica su proposta del premier. Nel Cdm del 12 gennaio scorso si è deciso di lasciarlo a quota 3.500 titoli. Non sono pochi, il numero è costante negli ultimi anni. Così ripartito: 20 cavalieri di Gran Croce; 80 grandi ufficiali; 300 commendatori; 500 ufficiali e ben 2.600 cavalieri. La legge sull’Ordine al merito della Repubblica è chiara: il capo dello Stato può assegnarne per sua iniziativa un quindicesimo del totale, ovvero 233. Una piccola quota destinata a valorizzare casi simbolici, per merito sociale, per chi si è distinto nella lotta al Covid-19 o per meriti sportivi. Tocca poi a Palazzo Chigi stabilire la ripartizione con i ministeri: queste onorificenze “ordinarie” sono firmate per la Festa della Repubblica (2 giugno) e della Costituzione (27 dicembre). Insomma, almeno sul fronte dei titoli onorifici, niente strappi. Destra, sinistra e governi tecnici marciano alla stessa velocità, sotto l’occhio vigile del Colle.