Anniversario della vittoria nel primo conflitto mondiale nel 1918, è diventato giorno dell’Unità nazionale e delle Forze armate. Attraversando le diverse anime del Paese, dalla celebrazione marziale del fascismo alla sensibilità anti-regime della Repubblica

È la più longeva tra le celebrazioni dell’Italia unita, l’unica scampata ai suoi terremoti politici, istituzionali, sociali. In oltre cento anni di rituali, la semantica del 4 novembre è stata rimodulata più volte restando però un appuntamento ineludibile. Istituita come festa nazionale e anniversario della Vittoria (il 4 novembre 1918 finì la Prima guerra mondiale, dopo l’armistizio di Villa Giusti con cui si completò l’unificazione) il 23 ottobre 1922 dal governo Facta, l’ultimo a guida liberale, fu poi trasformata nell’apoteosi delle celebrazioni volute dal fascismo per l’anniversario della marcia su Roma: un ciclo cerimoniale che, dal 28 ottobre al 4 novembre, saldava insieme il culto delle origini del fascismo e quello della patria vittoriosa.

 

Caduto il regime, mentre guerra e occupazione insanguinavano parte del Paese, il governo Bonomi nel 1944 riprese l’anniversario: epilogo “glorioso” di un’altra guerra, apparve simbolo corroborante per l’identità collettiva. Nel 1949 fu inserito come Giorno dell’Unità nazionale nel calendario civile della Repubblica tuttora vigente: dal 1977, tuttavia, non più giorno festivo, è solennità civile da celebrarsi la prima domenica di novembre.

 

Al cuore della celebrazione si pone la riflessione su pace e guerra, sul ruolo delle Forze armate, sul concetto di patria e sui sentimenti che suscita e, in definitiva, sull’orizzonte valoriale del Paese. Tanto che ripercorrerne nel tempo il mutevole statuto – parole, luoghi, liturgie – risulta esercizio illuminante per cogliere nell’atteggiarsi di governi e istituzioni la costruzione della memoria ufficiale su temi tanto cruciali.

 

Fu il fascismo ad appropriarsi della vittoria nella Prima guerra mondiale, che divenne mito fondativo e cardine della nuova religione politica: ai mesti riti del cordoglio per i caduti si sostituirono celebrazioni marziali per esaltare i martiri-eroi, il cui sangue aveva dato nuova linfa alla nazione, proiettata verso un destino di potenza. L’emarginazione progressiva del re e la centralità del culto del duce connotarono cerimoniali sempre più complessi e militarizzati. Tranne nel 1941, quando ridivenne giorno feriale: con la guerra in corso al fianco della Germania era inopportuno ricordare la sconfitta inflittale nel 1918.

 

L’ipertrofia celebrativa imposta agli italiani nel Ventennio alimentò per reazione nel Dopoguerra una sorta di avversione della classe dirigente repubblicana per la dimensione simbolico-rituale della politica e i fattori emozionali del patriottismo, così a lungo deviati in senso nazionalista e bellicista. Una ritualità fredda, una retorica stanca segnarono molti anniversari, conflitti di memoria e contestazioni politiche vi si incrociarono specie negli anni ’70. Tra le diverse sensibilità e interpretazioni spicca l’iniziativa di Randolfo Pacciardi delle «caserme aperte» o il pellegrinaggio a Redipuglia rilanciato da Giuseppe Saragat.

 

Di tutti i discorsi pubblici suonano incisive e attuali le parole di Sandro Pertini: tenente nella Grande Guerra, da presidente ne sfidò il mito e la definì nel 1983 «come ogni guerra crudele, devastatrice, tragicamente impotente a risolvere i veri problemi dell’umanità». E ricordando i caduti nella Seconda guerra mondiale: «A essi toccò sacrificare la vita in un’avventura temeraria e ingiusta voluta da un regime tirannico». Fu l’unica volta in cui in un messaggio ufficiale alle Forze armate figurò la condanna esplicita del fascismo.

*Questo è l'ultimo degli interventi sul calendario civile italiano, cioè le date fondanti della Repubblica, affidati all’Istituto pavese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea. Il primo sul 12 dicembre (strage di piazza Fontana), il secondo sul 27 gennaio (Giornata della Memoria), il terzo sul 10 febbraio (Giorno del Ricordo), il quarto sull’8 marzo (Giornata della donna), il quinto sul 25 aprile (Festa della Liberazione), il sesto sul 1° maggio (Festa dei lavoratori) e il settimo sul 2 giugno (Festa della Repubblica) sono pubblicati qui.