La violenza sulle donne è questione di sistema. Perciò bisogna elaborare pubblicamente i lutti, perché non si ripetano e perché dalla pornografia del dolore si passi all'analisi seria della cronaca

Il 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza patriarcale sulle donne e di genere, è continuata la mobilitazione permanente sotto il cielo di ogni città, paese e campagna, così come nelle nostre case, nei nostri spazi, nei luoghi privati e pubblici. Insomma in tutti quei luoghi, politici per definizione, dove i corpi delle donne vengono fissati, toccati, molestati e uccisi. La rete di Non Una di Meno (Nudm) ha chiamato due mobilitazioni nazionali, una a Roma e una a Messina. Il lessico utilizzato da Nudm richiama la marea, anche se nell’aria salmastra di questi giorni si sente odore di tsunami.

 

I nostri canali social sono necrologi e ci chiediamo se vedremo il giorno «in cui non piangeremo più donne che non abbiamo mai conosciuto» (Scheggi, via Web, 2023). In che modo osserviamo il lutto? Judith Butler in “Che mondo è mai questo” afferma che «la distinzione fra vite degne di lutto e vite non degne di lutto sia parte costitutiva dell’operatività e del significato stesso della diseguaglianza sociale ed economica oltre che dell’effetto, se non dell’espressione, della violenza». Per lutto, Freud in “Lutto e melanconia” intende una forma di riconoscimento della perdita che implica la capacità di registrarne la realtà. Noi, nella morte di altre donne, così come delle persone queer e trans, riconosciamo la natura sistemica, e dunque l’effetto collettivo.

 

Di conseguenza, per quanto questa permei ogni aspetto della nostra realtà, la morte e il lutto sono così onnipresenti da sembrare irreali. Così l’elaborazione di questi lutti collettivi e sistemici è sepolta, due metri sotto terra, con le nostre sorelle. Il lutto dei corpi delle donne, delle persone trans e queer, è un lutto alla mercé di chiunque, ma non è mai pubblicamente elaborato affinché possa essere reiterato all’infinito, come qualcosa che accade per caso, per ragioni diverse e slegate tra loro. Tuttavia, abitiamo un «mondo poroso e interconnesso, dove la nostra etica egoistica si dimostra inadeguata e i nostri concetti politici disperatamente obsoleti» (Butler, 2022, Laterza).

 

La cronaca nera, senza conseguente analisi di quelli che sono i sistemi di dominio che quel femminicidio l’hanno causato, è solo reiterazione della violenza e ciò che chiamiamo “pornografia del dolore” (Cronache Ribelli, via Web, 2023). Per noi donne e corpi oppressi è normale chiedersi se saremo le prossime, i nostri spazi di conversazione e aggregazione sono saturi di queste conversazioni, dei nostri testamenti e della nostra rabbia. Secondo i dati ministeriali nel 2022 sono state uccise 124 donne, l’82% degli omicidi si è consumato in ambito familiare o affettivo. Nello specifico, il 50% di queste sono state uccise dal partner o dall’ex partner. Dall’inizio del 2023 sono state uccise più di 100 donne.

 

Ogni uomo cis, chiaramente non biologicamente, ma per il modo in cui viene cresciuto, educato e socializzato, è un potenziale femminicida. Non è una tragedia, è una questione strutturale che riguarda tutti coloro che di questo sistema patriarcale, in un modo o nell’altro, beneficiano. Per concludere, se offesi da queste parole, non vale la pena prenderla sul personale, la natura sistemica dei femminicidi implica che tutti, sebbene con gradi diversi di complicità, ci rientrino. Per chi oggi non si ferma al sentirsi offeso e messo in mezzo, per chi vuole agire, ecco una lettura nomen omen consigliata: «Ci scalderemo al fuoco delle vostre code di paglia» (Gasparrini, 2023, D Editore).