Fuoriluogo

Le contraddizioni che il caso Alfredo Cospito ha fatto emergere sul 41 bis

di Franco Corleone   6 marzo 2023

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Il ministro Nordio ha scelto una strada che contraddice il pensiero liberale. E la politica è stata assente, incapace di iniziativa

Va riconosciuto che Carlo Nordio ha iniziato la sua avventura di ministro della Giustizia sotto una cattiva stella. Appena nominato, ha subìto uno sgambetto dal ministro di polizia, Matteo Piantedosi, con il decreto Rave privo dei requisiti di necessità e urgenza e soprattutto contrario a un diritto equilibrato; poi si è trovato a fare i conti per l’assegnazione di Alfredo Cospito al regime del 41bis con il pasticcio compiuto dal suo sottosegretario Andrea Delmastro attraverso la divulgazione di documenti riservati; infine, ha subìto il colpo della evasione di un boss dalla prigione di Badu ’e Carros.

L’umana comprensione non può però nascondere il dovere di mostrare, proprio nel fuoco delle difficoltà, il volto della politica e la capacità di scelte coraggiose, ancorate ai principi.

Lo sciopero della fame di Cospito contro il 41bis ha fatto esplodere alcune gravi contraddizioni, sull’uso del carcere duro, sulle sue modalità, circa la titolarità del prigioniero sul proprio corpo. Su quest’ultima questione Nordio ha scelto una strada che contraddice il pensiero liberale, sottoponendo al Comitato nazionale di bioetica un quesito circa supposti limiti, per il detenuto in sciopero della fame, del diritto al rifiuto di trattamenti (in specie, l’alimentazione artificiale). Tale idea porta dritto alla violazione dell’articolo 32 della Costituzione, contro la parità dei diritti fondamentali fra chi è privato della libertà e chi non lo è, sulla china scivolosa della concezione del detenuto come «cosa» e «proprietà dello Stato». Una discesa verso il totalitarismo utilizzando il diritto come morale e l’etica come obbligo di cura.

Lo sciopero di Cospito obbliga anche ad alcune riflessioni sullo strumento classico della nonviolenza, il digiuno. È uno strumento di lotta e di testimonianza, soprattutto per i detenuti, ed è una scelta di rifiuto della violenza (come la rivolta, l’aggressione contro operatori penitenziari, la distruzione di arredi della cella), mettendo in gioco il proprio corpo come unica risorsa per denunciare una ingiustizia intollerabile. Lo scopo è di costringere al dialogo chi ha il potere di decidere, opponendo la ragionevolezza della richiesta all’intransigenza sorda.

La nonviolenza vuole convincere, non vincere. Ovviamente un’iniziativa può avere successo o fallire e occorre intelligenza per valutare i risultati e decidere come proseguire, fermarsi e riprendere. Finora la politica è stata assente, incapace di iniziativa. È lampante che il 41 bis rappresenta un problema costituzionale per come è gestito, dalla bulimia denunciata da Sebastiano Ardita (un magistrato sostenitore del carcere duro) alla stratificazione di norme che si concretizzano in vessazioni al limite della tortura. Ricondurre il regime speciale alla stretta eccezionalità - come richiesto da tanti costituzionalisti - con modifica di legge e con atti amministrativi, costituirebbe un segno di intelligenza e umanità. E che aspetta il ministro Nordio a dire, alto e forte, che è contrario allo stravolgimento dell’articolo 27 della Costituzione sul senso della pena?

Le reazioni, talvolta condite con minacce, di frange dei sostenitori di Cospito potrebbero essere usate per rafforzare le spinte alla durezza e alla repressione. Sarebbe un segno di grave miopia; c’è molto da fare anche se il tempo è poco.