L’atleta si suicidò, a 14 anni, per il dolore causato da un video girato a sua insaputa e diventato virale. Fu la prima a perdere la vita in Italia per la persecuzione sui social. Fenomeno di cui si è presa coscienza solo in seguito. E contro cui lotta il padre con la fondazione a lei intitolata

«Quella sera mia figlia mi ha dato la buonanotte. Quando alle tre mi hanno svegliato i carabinieri, mi hanno chiesto dove fosse. Ho risposto che si trovava in camera, ma la finestra era spalancata e lei non c’era più». A ripercorrere quella tragica notte è Paolo Picchio, papà di Carolina, la ragazza di quattordici anni che la notte fra il 4 e il 5 gennaio del 2013 si è tolta la vita a causa della sofferenza procurata da un video girato a sua insaputa, diventato virale.

 

Nel novembre precedente, la giovane atleta aveva scoperto di essere vittima di cyberbullismo. In quegli anni non esisteva una definizione chiara del fenomeno, anzi: spesso veniva sottovalutato e sminuito proprio dagli adulti.

 

Per Carolina la vergogna è stata insopportabile, a tal punto da indurla a togliersi la vita buttandosi dal terzo piano della sua abitazione. Da quel giorno, lei è diventata la prima vittima acclarata di cyberbullismo in Italia. Prima di morire ha scritto un messaggio, la cui morale è diventata una lezione simbolica per molti ragazzi e ragazze: «Le parole fanno più male delle botte».

 

«Sì, mia figlia è stata la prima vittima riconosciuta. Ha scritto le motivazioni, una lettera di addio che è poi il suo testamento. Era una tosta, diretta, per questo hanno voluto indebolirla. Il fatto di essersi vista come una bambola di gomma, in mano a persone che giocavano su di lei a una festa, è stato violento. Era molto bella, sportiva; nel momento in cui è stata ripresa, non era cosciente e ha pensato che la sua reputazione fosse compromessa a vita».

 

Paolo, dopo tanto dolore, ha deciso di diventare il portavoce di questa battaglia di sensibilizzazione. «Mi sono dannato con macigni di perché, prima di scoprire che la causa della sua morte era la persecuzione sui social. Lei ha subito umiliazioni, commenti violenti, minacce, offese. Sono stati condannati in sei, cinque erano minorenni e hanno scontato pene alternative al carcere. Per il maggiorenne ci fu un processo a parte. Non è stato facile non arrendersi, all’epoca non c’era una reale coscienza su questo tema».

 

Nel nome di Carolina Picchio è stata creata Fondazione Carolina che raccoglie il suo messaggio, affinché la sua storia possa ricordare tutta la bellezza e l’entusiasmo della gioventù che possiamo distruggere per sempre con un solo click.

 

«A Carolina è dedicata la prima legge in Europa sul cyberbullismo, approvata all’unanimità il 17 maggio 2017. Si è stabilita una correlazione tra determinate condotte, alcune delle quali criminali, e il fenomeno. Con la nostra fondazione, sotto la guida del pedagogista Ivano Zoppi, lavoriamo su diversi ambiti. La prevenzione, la ricerca continua che monitora nuovi fenomeni, oltre al supporto di un team interdisciplinare che interviene in ambito educativo, legale, psicologico e comunicativo, se necessario consultando le forze dell’ordine e il Sistema sanitario nazionale. I colossi del Web non possono più sottrarsi alle loro responsabilità e i genitori devono svegliarsi! Nessun altro dovrà mai più sentirsi come mia figlia».

Fondazione Carolina non vuole demonizzare la tecnologia, ma educare a un uso consapevole, per questo ha lanciato #CyberJoy, un nuovo umanesimo digitale: la tutela dei minori online non passa dalla censura, ma dal diritto alla navigazione felice.