Mettere all'indice il volume del generale porta a parlarne ancora di più, proprio come scandalizzarsi per il suo successo

Se il libro dell’ormai famoso generale Roberto Vannacci, “Il mondo al contrario” (inizialmente autopubblicato), è primo in classifica da settimane, la colpa non è dei media che gli hanno fatto pubblicità. Sicuramente demonizzandolo se ne è parlato ancora di più, ma “Il mondo al contrario” ha successo perché tratta di temi che interessano migliaia di persone e lo fa con un tono tutto sommato conservatore e tradizionalista, ma di certo non omofobo, non razzista, non misogino, a tratti persino condivisibile.

 

Vannacci è critico con le femministe e la cultura Lgbt (il che è lecito, vi ricordo; e no, non ha mai scritto che gli omosessuali non sono «normali» dal punto di vista psichiatrico, ma piuttosto da quello statistico, argomentando un discorso su come la fetta degli omosessuali nella nostra popolazione non sia la norma, ma una piccola parte, circa il 2%). Oltre a questo, però, esprime un pensiero largamente condiviso su: sicurezza, immigrazione, tasse, lavoro. Per essere imparziale cito una frase di una testata inattaccabile: «“Il mondo al contrario” è un libro che si muove sul registro del buonsenso e della realtà» (La Stampa, 26 agosto).

 

Questo va scritto perché il libro, divenuto caso mediatico, è stato oggetto di interpretazioni che hanno circolato al posto dei temi di cui realmente tratta. Alcuni librai, per prenderne le distanze, si sono vantati di non averlo in vetrina, ma è lo stesso autore che ha scelto di distribuirlo su Amazon da indipendente, guadagnando così il 75% sul prezzo di copertina, al posto del misero 10% che normalmente un editore propone a un autore (tema questo che misteriosamente non scandalizza nessuno, su cui solo la casa editrice romana Gog ha pubblicato un lucido “Manifesto contro l’editoria” che per protesta non si può comprare su scaffale, ma solo online).

 

A oggi il libro di Vannacci supera le 90 mila copie vendute e da solo vale tutti i titoli presenti nella “top ten” italiana, quindi è il libro di saggistica più importante dell’anno nel nostro mercato. Ometterlo sarebbe un autogol clamoroso. Così come drammatizzarne il successo, gridare allo scandalo. Vannacci è conservatore, reazionario, cattolico, tutto quello che volete, ma ha senso etichettarlo come fascista, omofobo, cattivo?

 

Il proibizionismo non ha mai portato niente di buono, la demonizzazione altrettanto. I nazisti bruciavano i libri e nel Cinquecento la Chiesa emanava l’Indice di quelli proibiti. Noi non siamo così. Siamo nel 2023, vogliamo la libertà di esprimerci e quindi dobbiamo accettare anche quella di pensiero (nei limiti del buonsenso, della legalità).

 

Quindi che si prenda Vannacci e lo si metta tutti i giorni in tv in prima serata a scontrarsi con Massimo Cacciari, con scrittrici, femministe, pensatori, giornalisti, ma senza interruzioni, senza «collegamenti con l’inviato», senza quei brutti dibattiti in cui si accavallano in quattro e non c’è mai tempo di esprimere un discorso perché si deve mandare la pubblicità. Per gli argomenti seri c’è bisogno di spazi seri: di critiche, stroncature, dibattiti, liti, non di tweet e titoli scandalistici. Indicare il volume di Vannacci come l’ennesimo avanzamento del fascismo non serve a niente, non è nemmeno serio intellettualmente. Quando è che siamo diventati paurosi persino di idee che potremmo smontare tranquillamente argomentando?