Il Pil è frenato dal calo della domanda. Che è il risultato dell’inflazione galoppante, di cui le aziende hanno approfittato. E, visto che le previsioni restringono i margini di manovra, facciamo leva su di loro per andare incontro ai consumatori

Torno sul tema della crescita economica italiana, già trattato la scorsa settimana, alla luce dei dati pubblicati più di recente. L’economia italiana è in frenata. Che si può fare in proposito?

 

L’Istat ha confermato la caduta del reddito prodotto (il Pil) nel secondo trimestre. Anzi, ha rincarato la dose: -0,4% invece di -0,3%. In realtà, già la prima stima era molto vicina a essere arrotondata a -0,4% per cui la revisione è minore di quello che appare. Occorre anche tener conto del fatto che la crescita nel primo trimestre era stata alta (0,6%) e che le alluvioni in Emilia-Romagna e Marche hanno senz’altro avuto un effetto sulla produzione a maggio e giugno.

 

I dati disponibili sul terzo trimestre però non sono buoni: a luglio l’occupazione è scesa e in agosto il clima di fiducia delle imprese si è indebolito, confermando una tendenza in corso da diversi mesi. La crescita del Pil nella media di quest’anno dovrebbe essere intorno allo 0,8%, non troppo lontano dalla previsione del governo (1%). Ma nel 2024, a meno di una rapida ripresa nei prossimi mesi, sarà difficile andare molto oltre lo 0,5%, ben al di sotto dell’1,5% previsto dal governo nell’aprile scorso.

 

Il Pil è frenato dal calo della domanda (nel secondo trimestre le scorte sono aumentate). A questo calo ha certo contribuito l’aumento dei tassi di interesse, e, come sostenuto una settimana fa, credo che la Bce non debba aumentarli ulteriormente, almeno per ora. Però, a tassi invariati, la politica monetaria non contribuirà certo a sostenere la domanda. Gli spazi per usare la nostra politica di bilancio per dare una spinta alla domanda sono praticamente nulli, visti i nostri vincoli di finanziamento.

 

Che altro si può fare? Si vede sempre nell’azione di governi e banche centrali l’unica soluzione ai problemi di calo di domanda, ma mi chiedo se, in questo caso, non si debba considerare anche una diversa soluzione. Consideratela una provocazione, ma credo valga la pena di riflettere su quanto segue partendo da una ipotesi: che il calo della domanda che stiamo osservando sia il risultato di un aumento dei prezzi eccessivo da parte delle imprese.

 

L’aumento dell’inflazione, dopo decenni di sostanziale stabilità dei prezzi, ha “sdoganato” gli aumenti dei prezzi. Le imprese, per anni, avevano evitato di testare la tenuta della domanda con aumenti di prezzi perché…avevano perso l’abitudine. La ripresa dell’inflazione, spinta inizialmente dai prezzi delle materie prime, è stata un “liberi tutti” e le imprese ne hanno approfittato. Anche troppo. Pensate al settore del turismo che l’anno scorso aveva avuto un boom eccezionale, mentre quest’anno tanti alberghi hanno camere vuote. C’è da stupirsi dato l’aumento dei prezzi nel settore?

 

Per un po’, colpiti da quella che gli economisti chiamano illusione monetaria, i consumatori continuano a spendere anche quando i prezzi aumentano nonostante i loro salari non tengano il passo dell’inflazione. Si utilizzano i risparmi accumulati in passato. Ma non si può andare avanti per sempre. Alla fine se i salari non salgono i consumi ne risentono. Forse allora la soluzione del problema sta nel comportamento delle imprese. O riducono i prezzi, cosa improbabile, o aumentano i salari riducendo i margini di profitto che, probabilmente, si sono alzati nel corso degli ultimi dodici mesi. Forse vale la pena per le associazioni imprenditoriali riflettere su questo.