Gli Stati membri dell'Ue dovranno affrontare il tema degli strumenti finanziari necessari per realizzare il passaggio dalle fonti energetiche fossili a quelle non inquinanti. Tra investimenti pubblici e privati. E tra i vincoli imposti ai conti e alle economie nazionali

Venticinque anni fa nasceva l’euro dopo la costituzione della Bce (1998). Il merito principale della moneta unica è costituito dalla convergenza nei tassi di interesse, con l’azzeramento dello spread, che ha ridotto notevolmente la spesa per interessi degli Stati membri dell’eurozona. Tale effetto ha retto anche nel periodo di alta inflazione del 2022-2023. Con l’introduzione dell’euro i Paesi dell’eurozona non potevano conseguire un risultato migliore. Per ottenere uno sviluppo economico che attutisca gli squilibri dell’area dell’euro, che covano sotto la cenere, purtroppo ci vuole ben altro.

 

Il nuovo patto di stabilità, indipendentemente dalla modalità con cui saranno osservati i parametri fondamentali, si fonda sul mantenimento del rapporto deficit-Pil entro la percentuale del 3% e su quella del 60% tra il debito e il Prodotto interno lordo. I vincoli allo sviluppo economico dell’area continuano a permanere. Ogni Paese, infatti, in un lasso temporale più o meno ampio, dovrà coniugare lo sviluppo dell’economia con il rispetto dei parametri ribaditi dal nuovo patto di stabilità. La crescita del Prodotto interno lordo potrà essere conseguita solo incrementando la produttività complessiva dei fattori di sviluppo attraverso investimenti pubblici e privati agevolati. Questi investimenti generano i loro effetti soltanto nel medio periodo. La forza e la capacità con cui possono incidere sulla situazione di un Paese è data dalla modalità del loro finanziamento, che non è uguale per tutti, in dipendenza delle condizioni della finanza pubblica.

 

I Paesi che hanno disponibilità di cassa, quindi un rapporto deficit-Pil contenuto, saranno in grado di finanziare gli investimenti pubblici e agevolare quelli privati senza ricorrere all’indebitamento. Un tale sistema produce di per sé un moltiplicatore nella crescita delle entrate pubbliche, per l’incremento della fiscalità generale in connessione all’aumento della produttività dei fattori e alla sua ricaduta sulle retribuzioni del lavoro. Quei Paesi, invece, che non hanno disponibilità di cassa adeguate dovranno ricorrere all’indebitamento finanziario con un drenaggio di risorse nel bilancio dello Stato, per il costo degli interessi passivi e per il rimborso del capitale. Questi Stati, molto probabilmente, non avranno la possibilità di realizzare un aumento efficace della produttività complessiva dei fattori produttivi e di conseguenza sia delle retribuzioni del lavoro che delle entrate della fiscalità generale.

 

L’Ue, con il Pnrr ha cercato di attutire tale problematica con l’introduzione delle sovvenzioni, pari circa a un terzo delle somme richieste da ogni Stato. Considerata la mole di investimenti pubblici e di quelli privati con aiuti dello Stato (migliaia di miliardi) necessaria per risanare l’ambiente dall’uso delle energie fossili si pone il problema di fondo degli strumenti finanziari con cui i Paesi dovranno affrontare la questione degli investimenti pubblici diretti o indiretti. Dato che i programmi di risanamento dell’ambiente per avere un’efficacia generale non potranno adeguarsi alla nave più lenta del convoglio, l’Europa dovrà affrontare, pena l’inconcludenza delle proposizioni di principio, il tema degli strumenti finanziari con cui questi obiettivi potranno essere realizzati.

 

La ricerca di strumenti finanziari dedicati per governare la transizione ecologica non si risolve con il ricorso a tecnicismi, più o meno illuminati. È una questione politica che riguarda il balzo in avanti che l’Europa vorrà fare per dotarsi di una politica economica e fiscale univoca.