Nel partito c'è confusione ideologica. Di certo il modello non è il neoconservatorismo di Reagan e Thatcher, ma l'ultradestra che va da Trump a Musk. Con una spiccata predilezione per le armi e il dominio personale di Giorgia Meloni

A ben guardare, anche il Capodanno «a mano armata» del veglione nel Biellese è la spia di una metamorfosi. E l’«affaire Pozzolo» rappresenta solo l’episodio (in questo caso di cronaca nera) più recente di un processo in corso da quando Fratelli d’Italia, dopo essere divenuta la forza politica maggioritaria nel Paese, si è saldamente insediata a Palazzo Chigi. La si potrebbe definire una conversione sulla strada di Mar-a-Lago, per citare la famosa località trumpiana in Florida. Perché il trumpismo e, più in generale, quell’alt-right antisistema e complottista di cui Steve Bannon, ammiratore ricambiato di Giorgia Meloni, è il teorico più conosciuto, costituisce da qualche tempo un riferimento sempre più decisivo per la cultura politica di FdI in transizione verso una destra-destra parzialmente differente da quella a cui ci avevano abituato gli eredi del Msi.

 

Una destra che – come ha sottolineato di recente Giuliano Amato – ben poco (per non dire nulla) ha a che spartire con il neoconservatorismo degli anni di Ronald Reagan e Margaret Thatcher, e molto di più, invece, con una subcultura politica edificata sul rancore e sul risentimento. E lo conferma pure la sua inclinazione per il corporativismo – come nel caso dei balneari e degli ambulanti – che si rivela giustappunto agli antipodi delle liberalizzazioni e della deregulation del neoliberismo anglosassone anni Ottanta.

 

Il posizionamento di FdI (in concorrenza, anche qui, con la Lega) quale partito del «più armi per tutti» – dalla proposta (sebbene stoppata) di abbassamento a 16 anni per praticare la caccia all’allargamento delle maglie della legittima difesa – è in linea con la sua ideologia tradizionalmente sicuritaria (la triade «Dio, patria e pistola»). Ma questo «fai-dai-te delle armi» identifica anche lo spostamento sempre più marcato dei meloniani verso un’ultradestra «all’americana»; non per nulla, infatti, all’ultimo appuntamento di Atreju sono state tributate delle vere ovazioni a Elon Musk, che è un fan delle armi e incarna però, altresì, la declinazione anarcolibertaria e superomistica dell’«ideologia californiana», imbevuta di «spirito della frontiera», rifiuto di ogni vincolo o limitazione, e fastidio per lo Stato e i poteri pubblici.

 

E considerando anche la propensione del tycoon per la fecondazione in vitro (e le droghe) non si tratta precisamente di un “modello” in linea con la storia della destra italiana postmissina. D’altronde, la confusione ideologica risulta grande sotto il cielo di tutta la politica nazionale: così, prima di allinearsi all’amministrazione Biden, la camaleonte Meloni – «CamaMelon(t)i» – era notoriamente una supporter di Donald Trump, e si può immaginare che coltivi fortemente la speranza di un suo ritorno.

 

Il nodo di fondo è che nello sforzo di non mettere in discussione il suo “nocciolo duro” identitario e di non fare davvero i conti con l’eredità del Msi, FdI sta ora compiendo una serie di fughe in avanti. Vale a dire un’operazione di “shopping” e di scelta à la carte di quello che si muove nelle destre Usa sempre più radicalizzate (risalendo pure a certe tematiche dei Tea party), a cominciare proprio dalla predilezione per le armi. Per dirla con Gramsci: da americanismo e fordismo ad americanismo e melonismo (o, magari, «melomuskismo»).