Bengala
«L'Italia non è un Paese per biciclette. Per usare le due ruote ci vuole coraggio»
Le strade sono intasate dal traffico impazzito, mentre la dimensione media dei veicoli aumenta. E ogni anno vengono uccisi almeno duecento ciclisti
Detta cattiva, ma vera: per andare in bici sulle strade italiane devi essere matto, oppure totalmente sprezzante del pericolo. Sì, lo so che è bellissimo pedalare e pure che è ingiusto lasciare la carreggiata alle auto, ma andreste mai a piedi in autostrada? No. Vi avventurereste soli in mare nella tempesta? No. Ecco, in bici sulle strade italiane più o meno è altrettanto pericoloso, però la gente continua ad andarci e a morire.
Quasi 200 le vittime ogni anno, secondo i dati che sono approssimativi, perché non tengono conto dei decessi in ospedale. «È come se ogni anno scomparisse l’intero Giro d’Italia», ha detto Giordano Biserni, presidente dell’Associazione sostenitori della Polizia stradale. Ci sono pedalate di protesta, comitati di quartiere, ciclisti che si arrabbiano e chiedono il limite di 30 km/h in centro a Milano, ma pare utopico pensare che la tendenza si inverta di qui a breve.
L’Italia non è un Paese a misura di bicicletta, forse lo è stato in passato come testimoniano le belle immagini dei film di De Sica o di Fellini nel dopoguerra, quando i nostri nonni scorrazzavano per i paesini deserti in sella alle loro Bianchi.
Le strade sono rimaste più o meno le stesse: disastrate e strette, mentre le auto negli anni sono decuplicate (nel 2021 l’Italia era il Paese col maggior numero di auto in base al numero di abitanti di tutta Europa, anche perché la popolazione è sparsa su un territorio che difficilmente può essere coperto per intero dal trasporto pubblico) e le loro dimensioni, nel migliore dei casi, raddoppiate. Oggi nessuno guida più una piccola utilitaria tipo la Cinquecento, imperversano solo Suv giganteschi che per salirci serve la scaletta e fuoristrada che da soli occupano la visuale dell’intera carreggiata. I suddetti carrozzoni sono così veloci che a 50 km/h sembra di stare fermi e paiono più adatti alle sterminate highways americane che al dedalo dei paesi medievali di cui disponiamo.
Il trasporto su gomma è più in voga che mai e i camion anche in provincia imperversano nei centri abitati. E poi ci sono gli onnipresenti furgoni dei corrieri, le mine vaganti del sistema stradale. Insomma, le strade sono il caos e i ciclisti sono la categoria meno protetta della carreggiata. Va detto anche che i pedalanti hanno delle cattive abitudini: sono l’unica categoria sulla strada per cui il contromano è prassi, direi una forma mentis, così come correre sui marciapiedi. Giustamente, la strada è pericolosa, quindi uno per istinto di sopravvivenza opta per il marciapiede, che però è dei pedoni. Anche attraversare in bici sulle strisce non è corretto, uno dovrebbe scendere e portarla a mano.
Ora vi faccio una domanda: avete mai visto un vigile urbano o una pattuglia della stradale fermare e multare qualcuno in bicicletta per un’infrazione? Per le auto le multe sono all’ordine del giorno, quando non te le fa una persona fisica c’è sempre una telecamera in agguato per decretare che ti sei fermato allo stop, sì, ma un metro dopo la linea tratteggiata, il che mi pare ingiusto.
Ma giusto o sbagliato contano poco, il fatto è che la bici è il mezzo più indifeso e più in pericolo oggi sulle strade italiane e i numeri lo ribadiscono. Va pianta ogni morte, ma ormai chi si avventura lo fa a suo rischio e pericolo. La scelta è tra essere utopici o realisti: l’Italia non è più un Paese per biciclette.