Se la legge di Bilancio aumenta le disuguaglianze, il ddl Sicurezza mette in galera chi protesta

Armi, grandi inutili opere, fossili, tagli al sociale e alla sanità, lavoratori più precari, fisco regressivo, negazionismo climatico. Sono le priorità della legge di Bilancio del governo Meloni. Carcere per ecoattivisti, per chi protesta, sciopera, dissente sulla guerra, aiuta chi è in difficoltà, difende i territori e i diritti sociali, scrive contro le scelte del governo: la soluzione indicata dal ddl Piantedosi per ridurre al silenzio chiunque non si rassegni a un futuro di miseria e guerre. Il governo sceglie di fare quello che nessuno ha mai fatto nella storia repubblicana: cancellare il diritto alla base di ogni democrazia, quello di non essere d’accordo e organizzare conflitto sociale per cambiare le cose per coloro che ancora non godono dei frutti della democrazia o ne sono stati estromessi. Volontariamente Giorgia Meloni dimentica che sono state proprio le lotte sociali partite da piazze, fabbriche, campagne, università ad avere reso possibili conquiste e diritti fondamentali per la democrazia.

Siamo in una morsa: da una parte una legge di Bilancio che non interviene sulle priorità del Paese, cioè sconfiggere le disuguaglianze, ma le aumenta; dall’altra, un ddl Sicurezza che vuole metterci in galera se protestiamo e lottiamo per cambiare le cose. Ci vogliono zitti, buoni e in miseria. A ciò si aggiungono gli effetti dell’autonomia differenziata che, se non sarà fermata, istituzionalizzerà le disuguaglianze, spaccando il Paese in tante piccole patrie. Dal regionalismo solidale al «vinca il più forte», riversando sui cittadini gli obblighi a cui la Repubblica impegna chi è al governo.

Il governo Meloni volta le spalle ai problemi del Paese con una legge di Bilancio che peggiora una situazione già drammatica: quasi sei milioni di persone in povertà assoluta; 7 lavoratori su 10 precari; 4 milioni di lavoratori poveri; 2 milioni e 500 mila famiglie in precarietà abitativa (150 sfrattate ogni giorno per morosità incolpevole); 2 milioni e 100 mila famiglie che non si possono curare, mentre 4 milioni e 500 mila devono decidere se indebitarsi per farlo; la dispersione scolastica che colpisce un giovane su cinque; l’analfabetismo di ritorno al 33%; le disuguaglianze di genere che crescono e ci vedono all’86° posto nel mondo (in Italia una donna su tre ha subìto violenza). Le disuguaglianze corrodono nel profondo la democrazia e rappresentano il fallimento di un’intera classe dirigente politica. Sono un crimine di civiltà. Dovrebbero essere la priorità per ogni governo.

Nonostante ci vogliano far credere il contrario, cambiare le cose è possibile attraverso politiche sociali adeguate, redistribuendo la ricchezza e creandone di nuova con la riconversione ecologica, usando la fiscalità generale e politiche industriali in grado di favorire la creazione di posti di lavoro di qualità, se è il caso anche attraverso misure straordinarie. Per questo, il 17 ottobre, erano in piazza le realtà sociali della Rete dei Numeri Pari nella giornata mondiale per l’eliminazione della povertà. Per denunciare lo scandalo della povertà e per indicare soluzioni per sconfiggere le disuguaglianze, come quelle contenute nell’Agenda Sociale costruita da centinaia di associazioni. Perché la priorità della politica deve tornare a essere la vita delle persone.

La costruzione di uno spazio di democrazia che, a partire da proposte e obiettivi condivisi, metta insieme reti sociali e forze politiche che hanno come priorità i principi costituzionali è indispensabile per difendere in questo momento la Repubblica, messa sotto attacco dalle scelte del governo Meloni. Facciamo Eco!