La convergenza ideologica tra Meloni e il frontman della Silicon Valley di ultradestra

Fight, fight, fight!», come da slogan della campagna elettorale di Donald Trump dopo l’attentato del luglio scorso. E pure «dance, dance, dance!», alla luce dell’esibizione di Elon Musk sul palco del nuovo comizio tenuto a Butler, nello Stato elettoralmente cruciale della Pennsylvania. Il balletto («alla ketamina», come ha scritto qualcuno…) sul palco del patron di Tesla e SpaceX stava a metà fra una manifestazione di giubilo incontrollato e un’affermazione di volontà di potenza personale (alquanto coreografica). Quasi un manifesto “in movimento” del muskismo, un pezzo a tutti gli effetti – anche pratici (da finanziatore e membro annunciato del team di governo) – del trumpismo.

La sua esposizione nella vita pubblica non rappresenta un fulmine a ciel sereno ed è cresciuta via via all’indomani dell’acquisto di Twitter, da lui prontamente marchiato – al pari di ogni provincia del suo impero – con la X. Non va dimenticato che la passione per politica di Musk fa il paio con il senso del business, perché l’«appetito vien mangiando», in un campo come nell’altro. Il magnate che «scende» in politica non è certo una novità in assoluto nella storia; ma, effettivamente, costituisce una fattispecie diffusasi sempre maggiormente nei Paesi occidentali dagli anni Novanta del secolo scorso. Una categoria alla quale appartiene direttamente lo stesso Trump, d’altronde. E una manifestazione di quel neoliberismo che vede lo Stato quale potenziale «braccio armato» per aprire nuovi spazi al mercato; e dal momento che la forma più potente – e trendy – del capitalismo è attualmente la sua versione digitale, ecco che vari esponenti di Big Tech prendono posizione sugli affari pubblici e magari coltivano l’ambizione di spendersi direttamente in politica. Come Musk, giustappunto, che rappresenta il frontman di una Silicon Valley di ultradestra, al medesimo tempo reazionaria (anche se la vita privata del miliardario di origini sudafricane ha caratteristiche assai distanti dai valori tradizionalisti) e anarcoliberista, la cui eminenza grigia risponde al nome del suo mentore e socio, Peter Thiel, proprietario di una società di Ia e data science che si chiama, non per caso, Palantir Technologies, come le pietre elfiche veggenti de “Il signore degli anelli”.

Ad accomunare il tycoon analogico e quello digital-spaziale è anche il «machopopulismo» (come lo ha definito Federico Finchelstein) che si declina mediante l’hate speech e l’esaltazione del politicamente scorretto quale sedicente (e malintesa) battaglia di libertà. E sempre con la duplice chiave della convergenza ideologica e di interessi si spiega anche la «corrispondenza di amorosi sensi» con Giorgia Meloni. Non in senso letterale, anche se l’idea della liaison era piaciuta ad alcuni media (tanto da arrivare addirittura a una smentita pubblica), bensì in quello delle intese su vari terreni: dalla space economy alla ricerca di una sponda per contrastare la prossima stretta delle normative Ue nei confronti dei monopolisti delle Ict, diventati dei veri TecnoLeviatani. Oltre, ovviamente, alla comune militanza all’interno dell’Internazionale sovranista, di cui Musk ha deciso adesso di essere un primattore, mentre continuano con successo le sperimentazioni dei suoi razzi Starship per lo sbarco su Marte.