Una gaffe del ministro Nordio rivela come il governo non sia interessato alla realtà, ma solo ai suoi scopi

Dovremmo, in questi giorni confusi e drammatici, rileggere un libro che ha quasi dieci anni, “La frontiera”. È in quelle pagine che il suo autore, Alessandro Leogrande, dà la più bella definizione di cultura, che è, dice, «l’uomo che si volta» per guardare ciò che avviene intorno a sé. Leogrande viaggiò sulle navi di “Mare nostrum”, un’operazione di salvataggio che Matteo Salvini chiese di fermare perché serviva solo a «finanziare gli scafisti e l’invasione delle nostre coste» (Ansa, 22 aprile 2014), e da quell’esperienza ricavò una convinzione: «Bisogna farsi viaggiatori per decifrare i motivi che hanno spinto tanti a partire e tanti altri ad andare incontro alla morte. Sedersi per terra intorno a un fuoco e ascoltare le storie di chi ha voglia di raccontarle».

Quasi dieci anni dopo, Salvini continua a dire le stesse cose e fa ormai parte dello stereotipo italiano come la pizza e il mandolino. Del resto, un video dal Padiglione italiano alla Buchmesse di Francoforte ci rappresenta proprio così, con una signora che canta “Tu vuo’ fa’ l’americano” in una scenetta che fa sembrare l’albero della vita di Expo 2015 bello come la Cappella Sistina. Non abbiamo più Leogrande, non abbiamo più “Mare nostrum”, ma abbiamo il ministro della Giustizia Carlo Nordio, che non solo ha alimentato in modo sconcertante uno scontro istituzionale con la magistratura dopo la decisione del Tribunale di Roma di non convalidare il trasferimento di 12 migranti in Albania, ma ha anche usato un verbo a cui probabilmente non è stato dato peso, e in effetti al confronto di tutto il resto sembra ininfluente: il verbo è «esondare» («Se la magistratura esonda dai propri poteri, attribuendosi delle prerogative che non può avere come quella di definire uno Stato sicuro, deve intervenire la politica»). Di certo il ministro non ci ha pensato, ma ha detto «esondare» a poche ore da una sequenza drammatica e prevista di esondazioni di fiumi e torrenti che hanno messo in ginocchio mezza Italia. Un peccato veniale, sì: ma indicativo di quanto questo governo non abbia nessuna intenzione di voltarsi, come diceva Leogrande, perché quel che gli sta a cuore non è capire quel che accade nel nostro Paese, ma mostrare i denti.

E dunque si evoca lo stupro, come ha fatto Salvini parlando dei migranti che tornano in Italia, e già che ci siamo si approva una legge probabilmente inapplicabile sulla Gpa, concepita al solo scopo di dimostrare all’elettorato che continua a oltranza la lotta a chi non è bianco, eterosessuale e conforme a un mondo che già non esiste più. Ma non importa: quel che conta, come è avvenuto con i rave, la cannabis light, le borseggiatrici incinte, i detenuti, è far passare l’idea che questa destra non si volta e tira dritto.Per questo, la cosa preziosa di oggi è “Quattordici giorni”, a cura di Margaret Atwood e Douglas Preston (Ponte alle Grazie, traduzione di Guido Calza): è un vero e proprio “Decameron” che si avvale della collaborazione di un gruppo di scrittrici e scrittori di rango (da Dave Eggers a Erica Jong, da John Grisham a Meg Wolitzer). Racconta quel che avviene sul tetto di un palazzo nel pieno della pandemia di Covid: gli abitanti di un condominio s’incontrano per raccontare storie e capire che per attraversare una tragedia serve, come avrebbe detto Leogrande, voltarsi a guardare i propri simili. Perché a forza di andare dritti si rischia di non vedere la piena alle nostre spalle, che prima o poi ci sommergerà.