Suicidi, sovraffollamento. Invece di aumentare reati e pene, l’esecutivo inverta subito la rotta

Filippo Turati pronunciò un’esaustiva analisi per la riforma carceraria alla Camera dei deputati il 19 marzo 1904 e il discorso fu pubblicato con il suggestivo titolo “I cimiteri dei vivi”. Dopo 120 anni, la crisi è ancora aperta. Crudamente si potrebbe dire che il carcere è un cimitero non metaforicamente: a metà ottobre si sono verificati 75 suicidi, 1.564 tentati suicidi, 105 morti «naturali» e 17 da accertare. Se aggiungiamo i 10.301 casi di autolesionismo, che sono costituiti soprattutto da tagli alle braccia o al torace, possiamo dire che il sangue scorre nelle carceri italiane nell’indifferenza diffusa e nella assuefazione colpevole.

È davvero impressionante il quadro simile determinato dalla detenzione sociale. La novità di oggi con gli effetti della legge proibizionista antidroga, che provoca il 35% delle presenze per detenzione o piccolo spaccio di sostanze stupefacenti leggere e pesanti, e addirittura il governo ha aumentato le pene fino a cinque anni di carcere per i fatti di lieve entità. I detenuti presenti sfiorano ormai le 62 mila unità rispetto a una capienza regolamentare di 51 mila posti. Perché solo in carcere, luogo di esaltazione della sicurezza, non viene rispettato il limite massimo delle presenze, tassativo nelle sale pubbliche? È l’unico luogo in cui vige ancora la previsione illimitata dei posti in piedi.

La situazione diventerà esplosiva se sarà approvato il disegno di legge Sicurezza che potrà riempire le celle di donne in gravidanza, di borseggiatrici rom, di disobbedienti e perfino di coltivatori di canapa tessile. I detenuti che protesteranno e rivendicheranno i loro diritti saranno sottoposti a processi con pene fino a otto anni di carcere anche se la resistenza sarà nonviolenta.

Se ci fosse intelligenza politica, il ministro Carlo Nordio e il dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria dovrebbero proporre un provvedimento di indulto di due anni che libererebbe circa 16 mila persone e che dovrebbe essere seguito dall’approvazione di una norma sul numero chiuso e della proposta di legge sull’istituzione delle case di reinserimento sociale per i condannati con un fine pena sotto il 12 mesi, affidate alla gestione dei sindaci; piccole strutture di cinque o dieci posti caratterizzate dalla presenza del volontariato e dei servizi sociali con progetti di lavori di pubblica utilità. Non ci sarebbe bisogno di costruire nuove carceri, dedicandosi invece alla ristrutturazione di quelle esistenti. Il commissario per l’edilizia penitenziaria potrebbe così impegnarsi nella riconversione delle caserme degli agenti di polizia penitenziaria in case, monolocali o appartamenti, per garantire una vita sociale al personale.

Qualcosa si sta muovendo. A Firenze il presidente del Tribunale di Sorveglianza, Marcello Bortolato, ha emesso un’ordinanza che ordina all’Amministrazione penitenziaria di avviare entro 90 giorni i lavori indispensabili per far cessare una afflittività non giustificata e per assicurare una condizione di vita civile nel carcere di Sollicciano. A Udine è partita una campagna per chiudere una sezione invivibile per la presenza di muffa, umidità e deterioramento complessivo; una condizione inaccettabile tenendo conto di uno straordinario progetto di ristrutturazione del carcere di via Spalato che sta cambiando volto. Assieme alla lotta per il diritto all’affettività in carcere. Il pane e le rose.