Personaggi e interpreti
La nuova destra ancora prigioniera del suo passato
Tecnologico in superficie, tradizionalista nel cuore, FdI resta attaccato alla fiamma missina
La grande giostra della narrazione meloniana gira quest’anno al Circo Massimo, dove la festa di Atreju si è trasferita abbandonando il vecchio fortino di Colle Oppio, ormai troppo stretto per festeggiare la presa del potere. In sedici anni le cose sono cambiate – eccome – dunque Fratelli d'Italia oggi si presenta in pompa magna per raccontare la sua «storia infinita». E lo fa senza draghi e principesse, ma giocando con l’intelligenza artificiale per fabbricare fantasmi e dipingere una sinistra che sosterrebbe il «via libero allo sbarco selvaggio», «un Parlamento in mano alla magistratura rossa» e altre improbabili posizioni da caricatura politica. Eppure, sotto le luci sfavillanti dell’evento, c'è un nodo che Fratelli d’Italia non scioglie. Quel simbolo con la fiamma tricolore, baluardo identitario e feticcio nostalgico, resta lì, indiscusso e intoccabile, come annuncia a gran voce Ignazio La Russa: «Non si tocca finché sarò vivo». Un monito più che una dichiarazione, rivolto non tanto alla sinistra, quanto a quell’ala moderata della destra che vorrebbe emanciparsi dalle sue radici più imbarazzanti. La premier Meloni, che tanto ama citare Tolkien e il linguaggio epico della lotta contro i «poteri forti», su questo argomento preferisce ancora il silenzio. Il fascismo rimane perciò un vincolo non dichiarato, avvolto in un silenzio blindato, che tiene la destra italiana ancorata a un passato ingombrante. Un passato che impedisce a Fratelli d’Italia di allargare i confini della sua classe dirigente. Perché, nonostante la retorica dell’innovazione, il potere resta saldo nelle mani degli uomini della vecchia storia missina, con qualche eccezione eccellente come Guido Crosetto e Pietrangelo Buttafuoco. Perché è in quell’area che la premier sceglie ogni volta i nomi più delicati, dal nuovo ministro della Cultura Alessandro Giuli al successore di Raffaele Fitto, Tommaso Foti, due personaggi assai diversi ma con un punto in comune: vengono entrambi dal Fronte della Gioventù.
È una scelta che sembra più un pegno di fedeltà che una scommessa sul futuro. Così lo stesso partito che scopre l’intelligenza artificiale per attaccare la sinistra con slogan che sembrano usciti da un meme su Facebook rimane visceralmente attaccato a simboli e riti del Novecento. Una dicotomia che racconta molto della destra italiana: tecnologica sulla superficie, profondamente tradizionalista nel cuore. E così, mentre Atreju si traveste da festival della modernità, il palco ospita una narrazione che non osa andare troppo oltre. Perché recidere certi legami significherebbe sfidare l’elettorato storico del partito, quel nucleo duro che vede nella fiamma tricolore non solo un simbolo, ma un’identità. E sfidare questa identità sarebbe un rischio troppo grande, anche per una leader abile e determinata come Meloni, che nel suo discorso programmatico in Parlamento scandì la sua promessa: «Non tradiremo». La «storia infinita» di Fratelli d’Italia, dunque, resta sospesa tra un passato che non vuole lasciarsi alle spalle e un futuro che non riesce ad abbracciare del tutto. Lasciando la sensazione che la vera metamorfosi non sia ancora avvenuta. Che la destra italiana, con il suo bagaglio di simboli, nostalgie e contraddizioni, abbia ancora molta strada da fare per diventare davvero protagonista di una nuova stagione politica. E forse, per una volta, non basta un algoritmo per scrivere il finale della storia.