Chi sale e chi scende
Ignazio La Russa pensa ai crimini dei comunisti per non parlare di quelli fascisti
Chi sale e chi scende
Ignazio La Russa pensa ai crimini dei comunisti per non parlare di quelli fascisti
De Luca spina nel fianco di Meloni. Giani non imita l'Emilia-Romagna sul fine vita. Confindustria al voto. E poi la posizione "bonus" di Matteo Salvini. Le pagelle della settimana
CHI SALE
JAVIER MILEI
Il Parlamento lo ha costretto a ritirare la «legge omnibus» che doveva dare il via alla sua revolucion ultraliberista, ma il presidente argentino non molla. E all’estero si mostra assai diverso dalla sua immagine di populista. Si è dichiarato alleato di Giorgia Meloni («Trema il comunismo mondiale») ed è riuscito ad abbracciare il Papa dopo avergli chiesto scusa per averlo definito in campagna elettorale nientemeno che «il rappresentante del Maligno». È proprio vero: tutto il mondo è paese.
VINCENZO DE LUCA
Un anno fa Elly Schlein non faceva mistero della sua intenzione di bloccare la sua ricandidatura, ma col passare dei mesi il governatore della Campania si è rivelato uno degli oppositori più duri del governo Meloni. Citando in giudizio i ministri che hanno bloccato i fondi per il Sud e arrivando a chiamarli «imbecilli, farabutti e delinquenti politici». Al punto che la presidente del Consiglio ha chiesto alla segretaria del Pd di sconfessarlo, rivelando che lui le dà più fastidio di lei.
EMANUELE ORSINI
Il cinquantunenne amministratore delegato della Sistem Costruzioni, parte favorito nella corsa per la successione a Carlo Bononi alla guida di Confindustria: la sua candidatura ha raccolto più di cinquanta firme, sorpassando il presidente di Erg, Edoardo Garrone, e quello di Duferco, Antonio Gozzi, che pure possono contare su appoggi eccellenti. Ma bisognerà aspettare il 4 aprile prossimo per sapere quali saranno i nomi che i «saggi» sottoporranno al Consiglio generale. Anche i ricchi votano.
CHI SCENDE
IGNAZIO LA RUSSA
Bacchettando Amadeus per non aver usato sul palco di Sanremo l’aggettivo «comunista» parlando della responsabilità del regime di Tito nei massacri delle foibe, ha confermato che la fiera solennità mostrata da Giorgia Meloni a Basovizza nasceva – più che dal ricordo doloroso di una tragedia colpevolmente dimenticata dalla sinistra – dalla soddisfazione di poter finalmente ricordare i crimini del comunismo (jugoslavo) senza essere costretta ad ammettere le colpe del fascismo (italiano).
EUGENIO GIANI
Lasciando di stucco il suo stesso partito, il Pd, il presidente della Regione Toscana si è precipitato a dire che non seguirà l’esempio dell’Emilia-Romagna sul fine vita. «Non vogliamo surriscaldare il clima con una discussione divisiva», ha dichiarato Giani, l’ex socialista che l’anno scorso risultò terzultimo nella classifica del gradimento dei governatori, prima ancora di far infuriare i contribuenti toscani raddoppiando l’addizionale Irpef regionale. E il centrodestra brinda.
MASSIMO MORATTI
Dieci anni dopo avere venduto l’Inter agli indonesiani, l’erede di una delle grandi famiglie milanesi ha ceduto agli olandesi della Vitol il pacchetto di controllo della raffineria Saras di Cagliari, valutata 1,7 miliardi. Lui dice di averlo fatto per garantire un futuro ai 1.500 lavoratori, ma la monetizzazione dell’investimento che segnò l’ascesa dei Moratti nel club dei petrolieri consegna in mani straniere l’impianto, dove viene raffinato un quinto del carburante italiano.
MATTEO SALVINI
È il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini il quarto personaggio che meritava di andar giù nella rubrica “Chi sale e chi scende” di questo numero. Nel giorno di San Valentino l’inatteso feeling sul Medio Oriente tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein ha infatti reso visibile il ruolo secondario del leader della Lega, che dopo aver perso il candidato alla presidenza della Regione Sardegna non riesce a ottenere il via libera di Fratelli d’Italia per il terzo mandato dei governatori (che riguarda innanzitutto il veneto Luca Zaia, leghista in ascesa). E all’interno del suo partito cresce il malumore per l’impegno sempre maggiore di Salvini per il Ponte sullo Stretto, una grande opera non popolarissima tra gli elettori del Carroccio. Il vicepremier ha reagito allo scavalcamento della presidente del Consiglio riallacciando l’antico rapporto giallo-verde con Conte, ma le europee si avvicinano e persino tra i suoi c’è chi spera in un passo falso che aprirebbe la corsa alla successione.