La proposta
Ugo Mattei: «L'Italia dovrebbe chiedere di entrare nei Brics»
Gli equilibri globali stano cambiando e il peso dell'atlantismo di Usa e Gran Bretagna è in calo. Per questo il nostro Paese dovrebbe porsi come mediatore tra i Brics e l'Occidente
Vale la pena di rendersi conto di come la cosiddetta Brexit, avvenuta tramite referendum otto anni fa, abbia impattato più l’Europa abbandonata che la Gran Bretagna abbandonante, provocando conseguenze geopolitiche che si stanno manifestando nel presente. Quest’ultima, infatti, ha continuato, tramite la consueta politica della City of London, a mantenere un asse privilegiato con l’ex colonia statunitense e con il nucleo storico del proprio ex impero marittimo (Canada, Australia, Nuova Zelanda ecc.). In questa dinamica, la Gran Bretagna non solo non ha subito le conseguenze terrificanti che il dibattito pre-referendario avevano paventato, ma ha guadagnato in protagonismo geopolitico, nell’ambito di un’eterogenesi dei fini simile a quella che si è verificata con le sanzioni alla Russia che hanno rafforzato Putin.
Londra post-Brexit ha rafforzato la propria risalentissima politica di potenza coloniale marittima (forse addirittura precedente alle guerre napoleoniche) volta a scongiurare l’emersione di unità fra le potenze terrestri. Soprattutto in questa luce va letto il conflitto in Ucraina, a lungo covato nell’ambito dell’espansione Nato a Est (frutto della politica estera dei dem americani, i principali esecutori dell’asse City of London/Wall Street), che i buoni rapporti fra Merkel e Putin (e il Nord Stream 2) rendevano improponibile con la Cancelliera al potere.
In questa fase storica, l’appiattimento dell’Europa sulla politica Atlantica (ossia della Gran Bretagna e della sua ex colonia Usa) è stata dettata dall’asse Wall Street/City of London. Si conferma un tentativo di rivincita neocolonialista a trazione britannica, sconfitta ai tempi della crisi di Suez grazie all’Onu e a una maggior indipendenza della politica estera statunitense rispetto ai poteri finanziari globali (quelli che oggi tifano Biden). La conferma di questo riallineamento di un Occidente a trazione finanziaria ci viene dal silenzio dell’Europa dei diritti umani su Gaza ma soprattutto dall’incredibile aggressione all’Onu, non solo resa impotente (veti Usa in Consiglio di Sicurezza) ma anche umiliata dal blocco occidentale (definanziamento Unrwa).
La sconfitta di questa egemonia atlantista (che dal punto di vista economico è sostenuta nel breve dall’incredibile bolla della spesa a debito dei consumatori statunitensi) potrebbe tuttavia essere dietro l’angolo. Un segnale geopolitico significativo è arrivato dalla decisione preliminare della Corte internazionale di Giustizia di non rigettare la causa per genocidio intentata dal Sudafrica contro Israele. Infatti, se è vero che Cina e India non hanno manifestato sostegno espresso alla posizione sudafricana, tutti gli altri Paesi del Brics e gran parte del Sud globale hanno convintamente sostenuto il tentativo di far pubblicamente condannare Israele come uno Stato genocida fondato sull’apartheid, proprio come fu il Sudafrica fino alla prima parte degli anni Novanta del secolo scorso. È importante considerare che dal primo di gennaio di quest’anno i cosiddetti Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) hanno visto accrescere la propria compagine, con l’entrata di un imponente blocco di Paesi emergenti (Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti) ricchi di petrolio. Importantissimo è in particolare il riavvicinamento storico fra Iran e mondo sunnita, mediato da Russia e Cina.
Che i Brics si coalizzino intorno alla più importante e prestigiosa Corte di diritto internazionale è una circostanza di grande significato. Infatti, dal 2001 in avanti il prestigio globale del diritto statunitense (egemonico a livello globale a partire dall’inizio Guerra fredda) è crollato. Gli Usa non riescono più a nascondere gli orrori del proprio sistema penale, né il degrado del diritto prodotto dallo strapotere delle corporation della sorveglianza e del complesso militare industriale, che già Eisenhower oltre sessant’anni fa aveva indicato come il vero chiodo nella bara della democrazia statunitense.
Tramontata la credibilità di una fine della storia a trazione anglo-americana, persasi l’illusione delle virtù progressive del globalismo, sembra delinearsi, come cifra di una nuova era globale a trazione Brics, un multipolarismo fondato su un rinnovato rispetto della sovranità e della diversità politica, governata da un diritto internazionale classico, lontano dalle crociate per l’esportazione della democrazia.
Alla serva Italia di dolore ostello, sempre più colonizzata dagli Stati Uniti e sempre più vittimizzata in Europa, converrebbe subito presentare una candidatura per essere il primo Paese occidentale a entrare nei Brics, che in quanto alleanza informale fra diversi sovrani ci accoglierebbe di buon grado. Recupereremmo così, senza forzature (tipo Italexit), capacità contrattuale in Europa e nella Nato, e potremmo credibilmente proporci in un ruolo di guida e di mediazione, fondata sul diritto, fra Nord e Sud ma anche fra Oriente e Occidente, che farebbe assai bene alla nostra economia. Mattei, Moro e Craxi non avrebbero mai perso una simile occasione. Temo che la classe politica attuale non abbia la statura per simili coraggiose scelte, finalmente nell’interesse del nostro popolo.