Resistenti
«A furia di erigere muri, l'Europa finirà per imprigionarsi da sola»
Il Vecchio Continente si chiude ai migranti costruendo barriere. Opporsi è un dovere per non diventare disumani. E perché nessun diritto è conquistato per sempre, nemmeno per chi vive al suo interno
«Provare ad abbattere le frontiere è anche un impegno a non accettare l’inaccettabile. Un esercizio di etica del linguaggio, una pratica di libertà, un incontro possibile tra compagni di rotta», queste erano alcune delle parole di indizione del corteo del 7 maggio 2016 al Brennero. La manifestazione si opponeva alla scelta, da parte del governo austriaco, di costruire un «muro anti-migrante». In quegli anni, infatti, si assisteva a uno spostamento dalla rotta mediterranea a quella balcanica.
Il corteo, di circa 500 persone, si concentrò sulla strada statale, in uno dei punti dove, secondo i piani annunciati da Vienna, sarebbero stati ripristinati i controlli e si sarebbero posizionate le barriere metalliche anti-migranti. Gli agenti in tenuta antisommossa erano circa un migliaio. Venne occupata la sede ferroviaria, bloccando un treno merci e il famoso Orient Express. Per riprendere le parole di Primo Levi, lì, come altrove, si decretava arbitrariamente chi fosse «sommerso» e chi «salvato», chi doveva morire di freddo al confine e chi poteva viaggiare in una carrozza di lusso. Nonostante l’Austria abbia rinunciato poi alla costruzione del muro, l’attraversamento delle frontiere è diventato, di anno in anno, sempre più difficile e letale.
Il 5 marzo, la Corte di Cassazione si esprimerà sulle pene relative ai fatti del Brennero. Per le persone imputate, che sono diverse decine, la pena complessiva inflitta in appello è di 130 anni, con accuse che vanno da resistenza a pubblico ufficiale e interruzione di pubblico servizio a uso e porto di armi improprie. Furono infatti sequestrati fionde, sassi, bastoni e «persino il manico di un’ascia». Anche in vista dell’imminente decisione, il 3 marzo, a Bolzano, ci sarà la manifestazione “From Gaza to Brennero smash the borders”.
Il corteo del 2016 è stato l’espressione della solidarietà attiva verso chi fugge da guerre, devastazioni ambientali e povertà. Le persone coinvolte nella manifestazione del muro anti-migrante hanno messo in gioco la propria libertà per contestare la violenza dei confini europei: «Le barriere sono l’emblema del nostro presente. Accettarle rende disumani e complici. Cercare di abbatterle è l’inizio di una libertà possibile. Bisogna scegliere da che parte stare». Bisogna allenarsi a distinguere cosa è legale da cosa è giusto, contro la sottomissione e l’obbedienza, perché, come suggeriva Hannah Arendt: «Nessuno ha il diritto di obbedire».
I muri della fortezza Europa hanno diverse feritoie, conviene strisciare tra le pareti e sbirciare fuori il più possibile: nessuno è al sicuro, ma non lo siamo neanche noi qui dentro. Noteremo, nostro malgrado, quanto sia revocabile ogni libertà. Solo le proteste simboliche sono accettate, perché un simbolo si può sempre distorcere e occultare, mentre il monopolio della violenza rimane dello Stato: nei suoi confini mortiferi, nei Cpr, nelle guerre. Chi non è direttamente coinvolto, in questa democrazia, può solo continuare a rimanere zitto, sperando di sfuggire alla morsa.
L’estate scorsa, durante un corteo in Francia, i locali si mettevano in cerchio e cantavano insieme. Per noi altri era emozionante osservarli, perché la loro voce leniva la paura della violenza della Gendarmerie. Nell’accampamento si sentiva cantare “La rue des lilas”: «Vorrei un’ultima canzone / Per placare la notte / Per cullare la mia partenza verso l’altro mondo / Dire ai responsabili della morte che noi sopravviviamo».