Il Parlamento tace sui nodi rilevati dai giudici delle leggi a proposito di fine vita e figli di coppie omosex. E non elegge il membro mancante. Una rottura degli equilibri istituzionali, un immobilismo interessato. Dietro a cui si cela la grande abbuffata programmata da Giorgia Meloni

Non voglio apparire irriverente, ma dopo avere letto il bilancio dell’attività della Corte costituzionale nel 2023, presentato dal presidente Augusto Barbera il 18 marzo 2024, mi è tornata alla mente la canzone di Giorgio Gaber e ho stappato una bottiglia di champagne per festeggiare un pensiero nitido e rigoroso.

 

Il presidente Barbera ha espresso il rammarico per la latitanza del Parlamento rispetto alla risoluzione dei nodi del fine vita, derivante dalla sentenza 242 del 2019, e del riconoscimento dei figli di coppie dello stesso sesso, previsto dalle sentenze 32 e 33 del 2021. Il silenzio del legislatore ha provocato la supplenza delle assemblee regionali e il disarticolato e contraddittorio intervento dei sindaci preposti agli uffici dell’anagrafe. Un richiamo che non può essere disatteso. Se lo fosse, rappresenterebbe una rottura degli equilibri istituzionali e richiederebbe una risposta politica severa nei confronti dei presidenti di Camera e Senato.

 

Vi è un altro vulnus alla credibilità delle istituzioni ed è la mancata elezione di un giudice costituzionale che attende la decisione dal novembre scorso. Si sono svolte due votazioni, andate in bianco per mancanza di accordi tra i gruppi parlamentari. Il presidente Barbera ha rivolto un invito perché si proceda rapidamente alla nomina di un/a sostituto/a della giudice Silvana Sciarra, scaduta appunto l’11 novembre, sottolineando la delicatezza di una Corte priva del suo plenum. Perché non viene convocata la riunione del Parlamento in seduta comune per la terza votazione, in cui è ancora richiesta la maggioranza qualificata dei due terzi?

 

Dalla quarta votazione il quorum si abbassa e il confronto diventa reale, ma è quello che Giorgia Meloni non vuole. Ha già espresso la sua idea di aspettare che finiscano il mandato tre giudici a fine dicembre e di operare la grande abbuffata con nomine di giudici proni al nuovo potere e senza autonomia. Alla rottura della più che ragionevole convenzione tra le forze politiche di suddivisione per aree culturali e politiche seguirà un monopolio di indirizzo capace di cambiare la natura della Consulta. Il presidente Barbera si è mostrato convinto che non vi sono rischi per il pluralismo e l’indipendenza della Corte, anche grazie alla diversificazione dei canali di accesso e all’alto quorum previsto. Non so se si tratta di un auspicio o di una speranza.

 

Però, di fronte a questo rischio occorre una mobilitazione della società civile. Molti cittadini non votano alle elezioni per la convinzione che la loro opinione non conti nulla, comportamento che potrebbe essere accettabile se si accompagnasse con iniziative civili di denuncia e di attivazione di azioni dirette e nonviolente in difesa della democrazia. Un appello per il rispetto delle regole dello Stato di diritto lanciato da giuristi e costituzionalisti, da uomini e donne di cultura, da associazioni e movimenti della società civile è urgente e potrebbe dare una scossa al silenzio incomprensibile delle opposizioni.

 

È ora di alzare la bandiera dell’intransigenza gobettiana. Una nota finale. Anche l’appello del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sul disastro delle carceri, alimentato dal sovraffollamento e dai suicidi, rischia di cadere nel vuoto come accadde al messaggio alle Camere di Giorgio Napolitano, l’8 ottobre del 2013.