Lo stallo nelle votazioni per sostituire il giudice scaduto è un assaggio del ruolo subalterno del Parlamento rispetto al governo. E di un certo modo di abusare del potere da parte della maggioranza

Per la terza volta il presidente della Corte Costituzionale, Augusto Barbera, è sceso in campo per denunciare la mancata elezione di un/a sostituto/a della giudice Silvana Sciarra, scaduta l’11 novembre dell’anno scorso, da parte del Parlamento. Sono passati quasi otto mesi e la mancanza del plenum si rivela imbarazzante. Cinque votazioni sono state senza esito, con l’espressione totale di schede bianche, senza alcuna indicazione di un nome per raggiungere il quorum dei 3/5 dei componenti dell’Assemblea, cioè 363 voti.

 

L’ultima seduta si è svolta il 25 giugno scorso con la partecipazione al voto di poco più della metà di deputati e senatori aventi diritto, solo 330. Difficile lamentarsi dell’astensionismo dei cittadini, se l’esempio che viene da chi avrebbe il dovere istituzionale di esprimere una decisione delicata è di disinteresse colpevole. Ha fatto bene il presidente Barbera nell’intervista al Sole 24 Ore, il 28 giugno, a «esortare sia i gruppi di maggioranza, ma anche quelli di opposizione, a procedere all’elezione del giudice mancante sin da adesso, evitando di cedere alla tentazione di un’impropria attesa per un inammissibile spoils system su organi di garanzia».

 

L’ipotesi di uno stallo strumentale per compiere una grande abbuffata all’inizio del 2025, dopo che cesseranno dal mandato ben tre giudici di nomina parlamentare – oltre allo stesso Barbera, Franco Modugno e Giulio Prosperetti – nasce non da un pregiudizio, ma dalle parole pronunciate dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nella conferenza stampa di inizio anno, durante la quale affermò che la novità essenziale era che la destra avesse il diritto di eleggere i quattro giudici, uno scaduto e tre in scadenza alla fine del 2024. La gravità di tale affermazione non è stata stigmatizzata adeguatamente, perché siamo di fronte a una usurpazione di una competenza del Parlamento da parte del governo. È la dimostrazione del destino della democrazia, se venisse approvata l’elezione del premier contestualmente a quella dei parlamentari.

 

Il senso del quorum altissimo nelle prime tre votazioni e comunque significativo nelle successive è quello di ricercare nomi di prestigio, figure con particolare spessore professionale e di studi, soprattutto con una storia di onestà intellettuale e di indipendenza dal potere. Nonostante la distorsione nella attribuzione dei seggi prodotta dalla legge elettorale truffaldina – il cosiddetto Rosatellum, ora sotto la lente di osservazione della Corte europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu) per violazione dei diritti di scelta libera dei cittadini – il quorum attualmente non è appannaggio della sola maggioranza.

 

Le forze di opposizione raccolgano subito l’invito del presidente Barbera e individuino una rosa di giuriste/i con le giuste caratteristiche da sottoporre al confronto con la maggioranza; in ogni caso, si predispongano a votare una persona anche come candidatura di bandiera. È ora anche di pretendere che i presidenti di Camera e Senato annuncino un conclave laico, con votazioni continue fino all’esito positivo. Nel 2002, Marco Pannella – con uno sciopero della fame e della sete e con la bevuta delle sue urine in televisione – ottenne la promessa dei presidenti Marcello Pera e Pier Ferdinando Casini di una seduta fiume. Forse non si deve arrivare ad atti così drammatici, ma un segno di vita e di resistenza si impone.