Il disinteresse dei cittadini nasce dalla constatazione che nessuno pensa che la politica migliori la qualità della sua vita. Inutile attaccarli, bisognerebbe capirli

Ogni notizia di politico che ruba, di scandalo, di abusi non è che l’ennesimo chiodo nella croce personale con cui incediamo in un privatissimo (ma collettivo) calvario che prevede: pagare le bollette, l’assicurazione della macchina, le spese per l’asilo e la scuola dei figli, le spese per i servizi medici privati se non vogliamo aspettare mesi, il carburante alle stelle e i viaggi in treno anch’essi ormai insostenibili. Tutto con gli stipendi fermi al 1990, anzi col potere d’acquisto diminuito, ci dice l’Ocse.

 

Insomma, i cittadini lasciati a sé stessi dai politici, che a loro volta pensano a sé stessi, diventano assuefatti a ogni malefatta, la considerano endemica. Siamo tutti incasinati, con troppi problemi individuali quotidiani per poterci dedicare ai problemi collettivi, alla cosa pubblica, tutti disillusi che il voto elettorale possa cambiare le nostre sorti o che il nuovo sindaco sia in grado di fare qualcosa per il traffico in città nonostante la Regione, le fondazioni, la Provincia, gli enti privati ognuno coi suoi interessi da perseguire. Delle decine di persone con cui ho parlato nell’ultimo anno, nessuna pensava che la politica potesse migliorare la qualità della sua vita. Nessuna.

 

Ecco il clima in cui proliferano complottismi e rabbia e in cui i cittadini spariscono dalla vista dello Stato, alla deriva in un mare sconosciuto.

 

È così che si smette di informarsi, di leggere dei libri o dei quotidiani, perché certe cose è meglio non saperle. Con tutti i guai che già abbiamo perché informarsi su quello che non funziona visto che non possiamo cambiarlo? Politica e intellettuali puntano il dito contro questi cittadini colpevolizzandoli e smettono di dialogare con loro; e questi di tutta risposta aumentano, quando invece servirebbe solo qualcuno che chiedesse loro: come va? Di che cosa avete bisogno?