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Il redditometro è una sceneggiata gradita agli evasori
Il decreto che lo prevede emanato sotto elezioni, ma poi sospeso. Così il governo fa il gioco delle parti
La vicenda del redditometro non può essere archiviata addebitando al viceministro Maurizio Leo una sorta di ingenuità, essendo un valente tributarista prestato alla politica per dare smalto al governo.
Il decreto ministeriale sul redditometro, come ha dichiarato il viceministro nell’intervista del 22 maggio scorso al Corriere della Sera, «era un atto dovuto, sollecitato più volte dalla Corte dei Conti, per evitare un possibile danno erariale per la mancata adozione dei criteri induttivi sospesi dal 2018 (governo Conte-Salvini) utilizzabili per il redditometro». Prosegue Leo: «Uno strumento che non va contro i contribuenti onesti», che può essere molto utile perché «abbiamo ancora 80-100 miliardi di euro di evasione l’anno e non possiamo mollare la lotta all’evasione». Un principio confermato dal capo dell’Agenzia delle Entrate, che nel rassicurare chi denuncia il clima da “Grande fratello” ha dichiarato: «Il redditometro è sempre stato uno strumento residuale. Serve a ricostruire il reddito di quei contribuenti che non dichiarano nessun reddito».
Nella legge di riforma fiscale, infatti, è scritto della «piena utilizzazione dei dati che affluiscono al sistema informativo dell’anagrafe tributaria, il potenziamento dell’analisi del rischio, il ricorso alle tecnologie digitali e alle soluzioni dell’intelligenza artificiale». Il redditometro, pertanto, è lo strumento più efficace per stanare i grandi evasori. Non appare nemmeno più come lo strumento “vampiro” dell’ex ministro Vincenzo Visco, che ha plaudito alla sua riattivazione. In questo caso forse non è difficile capire la levata di scudi dei partiti della maggioranza e l’altolà della presidente Giorgia Meloni, che vuole «vederci meglio dentro». Da qui l’incontro con il viceministro Leo per «confrontarsi sui contenuti e per giungere alla conclusione che sia meglio sospenderlo in attesa di ulteriori approfondimenti perché il nostro obiettivo rimane quello di contrastare la grande evasione».
Tanto rumore per nulla. Si sbaglierebbe a pensare che gli attori in commedia siano degli sprovveduti. La scelta di emanare il decreto ministeriale, a 45 giorni dalle elezioni, che sarebbe entrato in vigore nel 2026 non è affatto casuale. Ha un doppio scopo. In prima istanza è rivolta a far vedere ai contribuenti onesti (il ceto medio tartassato) che il governo combatte la grande evasione; in seconda istanza ha lo scopo di rassicurare con la sospensione del decreto quei contribuenti che pagano le imposte con il sistema della dichiarazione, in particolare i quasi quattro milioni di partite Iva.
Il gioco delle parti (una splendida commedia di Luigi Pirandello) ben si attaglia alla sceneggiata della vita e della morte del redditometro. Siamo di fronte, invece, a un’ulteriore dimostrazione che la lotta all’evasione il governo non la vuole fare. Non serve enfatizzare il massimo del recupero fiscale di 24 miliardi. L’evasione fiscale è tutt’altra cosa. L’arte in commedia non finisce qui. Infatti, mentre il governo per strappare qualche voto «sospende» la riattivazione del redditometro per far pagare i piccoli e i grandi evasori, il ministro Giancarlo Giorgetti, per non far sballare i conti dello Stato, è costretto a ridurre la finanza derivata a quei Comuni che percepiscono le risorse del Pnrr. Ne soffriranno il bilancio dello Stato e il popolo degli italiani onesti, con grande gioia degli evasori fiscali.