Pane al pane
"I Patrioti per l'Europa hanno senso come gli astemi per l'alcol"
Il nuovo gruppo con Le Pen e Orbán e con dentro la Lega vorrebbe uscire dall'Unione. A quanto pare i suo protagonisti non hanno imparato nulla dalla lezione del Regno Unito
I «Patrioti per l’Europa» sono ora il terzo partito nel Parlamento europeo. La loro denominazione è una contraddizione in termini. Un po’ come dire «Astemi per l’alcol» o «Verdi per il carbone». Già, perché una buona parte di questi patrioti dell’Europa farebbe volentieri a meno, tranne forse quelli di loro che vivono in Paesi che ricevono abbondanti finanziamenti dal bilancio europeo (tipo l’Ungheria). Ma, in fondo, anche loro probabilmente preferirebbero alla lunga uscirsene dall’Europa. E mentre uno dei loro capi se ne va in giro per il mondo a collezionare “foto ricordo con autocrate”, approfittando del turno di presidenza del Consiglio europeo da parte del suo Paese, vale la pena allora di ricordare loro un editoriale apparso il 9 luglio scorso sul Financial Times. Li riguarda da vicino. In questo editoriale Janan Ganesh scrive: «L’Unione europea è per sempre in debito con la Gran Bretagna. La sua grande avventura del 2016 è andata sufficientemente male da scoraggiare il resto d’Europa anche solo dal prendere in considerazione la stessa idea…la Brexit si distingue come il miglior servizio del Regno Unito al progetto europeo… Che regalo di addio. E quanto è vero…quando Bruxelles dice: “Non avresti dovuto”».
Ora, l’economia britannica non ha subìto un crollo. Ancora se la cava. Ecco, appunto, riesce appena a cavarsela. Stiamo parlando di un Paese che durante il periodo in cui era parte dell’Unione era cresciuto a ritmi americani. Tra il 1980 (l’ingresso del Regno Unito nell’Unione è del 1973, ma un po’ di anni servono per vederne gli effetti benefici) e il 2016, anno del referendum, il Pil reale del Regno Unito è cresciuto del 140%, come quello del Canada e ben più di quelli di Francia (89%), Germania (83%) e Italia (53%). A battere il Regno Unito c’erano solo gli Stati Uniti (167%). Ma, attenzione, se si va a vedere il tasso di crescita pro capite il Regno Unito batteva pure gli Stati Uniti (107% contro 87%). E ora? Tra il quarto trimestre del 2019 (anche qui lasciamo passare un po’ di tempo dal referendum) e il primo trimestre del 2024, il Pil britannico è cresciuto dell’1,85: al sesto posto tra i G7 (all’ultimo c’è la Germania azzoppata dalla sua dipendenza dal gas russo e dall’economia cinese). Insomma, non proprio dalle stelle alle stalle per l’economia d’Oltremanica, ma ci andiamo vicino.
E che cosa è accaduto ai politici protagonisti di quella decisione infausta? Boris Johnson, che la Brexit l’aveva sostenuta e portata a compimento, ha cambiato mestiere. David Cameron, che aveva indetto il referendum, dopo essere rientrato come ministro degli Esteri nel governo di Rishi Sunak, il mestiere l’ha perso di nuovo. E i Tories hanno subìto la peggiore sconfitta elettorale dalla fine degli ultimi tre quarti di secolo. Amen.